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Editoriale
Se crolla l'export
L'ultimo comunicato dell'Istat è impietoso: l'export a maggio ha avuto una flessione dell'1,6% su mese e dello 0,8% e coinvolge esclusivamente l'area extra Ue (-2,8%) mentre per i Paesi Ue si registra una crescita (+0,7%). Ma il vero dato allarmante è quello relativo al surplus commerciale, diminuito di circa un miliardo di euro (da +4.344 milioni a maggio 2017 a +3.378 milioni a maggio 2018). Una perdita ben oltre il 20%. Il nostro Paese fa dell'export dei prodotti Made in Italy la sua ancora di salvezza. La positività della bilancia commerciale è ciò che ci fa ancora essere nell'élite dei Paesi dell'OCSE, che garantisce un futuro al Paese alle prese con una crisi dei consumi interni senza precedenti. Questi sono dati annuali, che nulla c'entrano con il nuovo governo. E' chiaro che occorre invertire la tendenza, pena un allargamento della crisi anche a settori che sono in ripresa. E se perdiamo quote di mercato fuori dalla EU, è chiaro che la nostra qualità riconosciuta non basta più per assicurare la competitività, nonostante un superdollaro e un euro debole. Gli stati che contribuiscono maggiormente al calo delle esportazioni sono Paesi OPEC (-16,6%), Turchia (-11,3%), Belgio (-6,8%), Russia (-10,7%) e Cina (-5,7%), economie molto diverse tra loro. E accordi come il CETA non contribuiscono di certo a migliorare la situazione, come dimostrano i dati di Coldiretti, che indicano come esempio un calo dell'export verso il Canada, anche se per qualche settore (happy few) possono essere un aiuto. Occorre quindi sostenere e supportare le nostre aziende produttrici e manifatturiere, con politiche che vadano oltre l'UE, come sono attrezzate da tempo Germania e Francia. La compressione salariale non basta e non serve più.
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