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Editoriale
Il surplus tedesco nel mirino dei dazi di Trump
Non c'è media che non parli (male) dei dazi imposti da Trump. Ma il Presidente USA ha parlato di dazi di reciprocità. E noi non siamo poi così trasparenti come ci amiamo descrivere. Il vero problema è che l'EU è un sistema estremamente protezionistico in termini di importazione rispetto agli USA. I primi a rimetterci non sarebbero i cinesi (che esportano tanto ma di basso valore aggiunto) come tanti dicono, ma soprattutto la Germania, un Paese che ha un export pro capite tra le 10 e le 20 volte maggiore della Cina. In particolare, l'Unione Europea ha dazi 4 volte maggiori degli USA sulle auto (10% contro il 2,5%), tra il 22% ed il 74% per i prodotti chimici (a difesa delle industrie soprattutto tedesche), ha dazi dal 35% al 126% sugli additivi alimentari. Trump ha parlato di dazi del 25% sull'acciaio di Cina, Brasile, Canada, Europa e altri Paesi. Pochi sanno che la "virtuosa" UE applica da anni dazi ben superiori su acciaio e semilavorati cinesi. ThyssenKrupp è il leader europeo con impianti in Belgio, Francia, Polonia e Olanda. Per l'acciaio grezzo si va dal 17% al 27,9% in funzione della fonderia cinese produttrice; per i tubi cinesi in acciaio i dazi vanno dal 42% al 71%, e fin dal 2011. E che dire dei dazi continentali su piastrelle e ceramica tutti a nostro vantaggio? Oppure quelli la cui mancanza sta mettendo in crisi l'intera filiera del riso a causa dell'import da Paesi dell'Asia? In pratica Trump ha chiesto di applicare le stesse regole al di là e al di qua dell'Atlantico. Ma purtroppo i tedeschi stanno usando l'EU per difendere i propri interessi e non quelli dell'intero continente. E l'Italia, come Paese subfornitore della Germania ne andrà di mezzo: ci chiederanno di ridurre ulteriormente i costi, già all'osso per le nostre imprese. Ma chi glielo spiega ai padroni del vapore che il cliente ha sempre ragione?
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