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Editoriale
Il lavoro che non c'e': intervenire sulle cause
Dunque la disoccupazione torna a salire. E neanche di poco, visto il +0,3% di dicembre, che ha portato il dato annuale a un 12% tondo tondo. Dodici mesi fa l'Istat comunicava un 11,6%, e ciò significa che, esaurita la spinta dei bonus fiscali, il Jobs act ha sostanzialmente fallito.
Per dare un termine di paragone, l'eurozona si è attestata al 9,6%. Se poi prendiamo i dati della disoccupazione giovanile possiamo vantare un 40.1% superiore solamente a Grecia e Spagna. Occorre anche tener conto che nei calcoli della disoccupazione non rientra chi viene retribuito con i voucher, pratica semi-schiavista che purtroppo è entrata nella vita quotidiana di molte famiglie. Se si contassero questi non-lavori, il tasso di disoccupazione sarebbe ben più alto, secondo alcune fonti quasi al doppio.
Ora, è chiaro che il lavoro non si crea per decreto, ma sarebbe assolutamente possibile e doveroso allestire le condizioni perché questo venga creato. Se tutti i rapporti internazionali (da Doing Business a quelli dell'FMI, da quelli dell'OCSE fino alle nostre associazioni di categoria) indicano da anni in burocrazia e giustizia i principali problemi che impediscono di investire in Italia, e quindi creare lavoro, forse è il caso di prendere in esame qualche riforma meno cosmetica e più radicale.
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