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Editoriale
Italiani solo ottimisti o non coscienti?
Come ogni fine mese l'ISTAT ci fornisce i dati chiave sull'andamento dell'economia italiana. Parliamo di occupazione e prezzi al consumo, o meglio: disoccupazione e inflazione. E questo mese non è diverso dagli ultimi. La disoccupazione è ferma e non diminuisce (anzi, aumenta quella giovanile), e l'inflazione non sale ma cala ad un livello preoccupante. In entrambe le rilevazioni siamo comunque agli ultimi posti dell'Eurozona, con il tasso di disoccupazione che dovrebbe preoccupare sempre di più chi sta al governo e siede in parlamento.
Ci piacerebbe che qualcuno spiegasse quali siano le emergenze nazionali più gravi di queste, (non certo lo "ius soli") visto che è una delle chiavi della crisi. Ma hanno altro su cui dirigere la loro attenzione.
C'è un fattore però che lascia perplessi: anche gli indicatori dei consumi sono stagnanti o in calo, ma PIL, produzione industriale ed export crescono in modo importante. Evidentemente alcuni settori riescono a trascinare la totalità dei conti del Paese.
Un altro dato che meriterebbe approfondimento è come sia possibile che gli indici di fiducia di consumatori e aziende siano ai livelli massimi in una fase in cui cresce il numero di famiglie sotto la soglia della povertà, il ceto medio si sta estinguendo, la tassazione cresce a livelli siderali, i tagli al welfare sono sempre più evidenti, i salari sempre più bassi e i lavori solo a tempo determinato, mentre la sicurezza è diventata uno dei problemi più diffusi.
L'italiano sarà forse un inguaribile ottimista, oppure Trilussa merita il Nobel per la statistica.
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