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Editoriale
Segnali di fumo
Un Paese completamente bloccato. Questa è l'impietosa fotografia che emerge dal quadro politico. L'Europa da un lato ci dice che abbiamo smesso il processo di riforme a giugno 2016 (causa referendum). Gli ultimi dati ISTAT rilevano dall'altro come gli ordinativi industriali siano in calo, così come l'export extra UE, che vede dopo 12 mesi la bilancia dei pagamenti in deficit, dopo 11 mesi di surplus. Da notare che l'avanzo primario del commercio estero è uno dei pochi parametri che consente al Paese di mantenere una certa credibilità in ambito finanziario. Se poi guardiamo ai dati sull'occupazione osserviamo che il 2016 è passato invano, la percentuale si mantiene intorno al 12% e se si calcolassero i voucher per quello che sono, probabilmente la percentuale reale salirebbe vicino al 20%. Roba da Grecia o Spagna. L'unico dato che sale col turbo sembrerebbe essere l'inflazione. L'Istat ha rilevato nella prima stima per febbraio un +1,5% che ci porterebbe, almeno in questo, quasi in allineamento con i dati europei. Solo che una crescita di 1,5 punti in meno di quattro mesi (a novembre era +0,1 e venivamo da una lunga recessione) non ha ragione di esistere nelle nostre condizioni. Passa infatti attraverso l'aumento delle materie prime - petrolio - la stagionalità degli alimentari e i trasporti. Banalizzado: l'inflazione è trainata da benzina, tariffe dei treni e zucchine scarse dopo il maltempo. Nulla a che vedere con un aumento dei prezzi legato ad una ripresa, ad una crescita di domanda. Anche perché se i consumi calano, e a dicembre sono diminuiti, nessuno sano di mente aumenta i prezzi.
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