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Editoriale
Avremo le Cayman sul Tamigi?
Farage ha ammainato la bandiera inglese dal Parlamento europeo e se l'è portata via. E' l'immagine plastica della Brexit di cui si sentirà parlare ancora per molto, Gli stessi media che hanno tifato apertamente perché non accadesse, e che affermavano che non sarebbe mai stata votata, ora sono impegnati a mostrare come tra la popolazione britannica regni l'incertezza sul futuro. Il "Fear Project" passa anche da questo. La realtà è ovviamente diversa. Chi ha veramente paura è la UE, che perde il 13% della popolazione, il 15% del PIL ed il 12% della contribuzione netta (con il "rebate" di sconto). E soprattutto perde uno dei Paesi a più forte importazione di beni e servizi dal continente. Da sola UK vanta un PIL superiore alla somma di 15 Paesi della UE28 e con la sua uscita si sono persi anche i legami privilegiati con i Paesi dell'ex Commonwealth. Inoltre, viste le prime mosse di Johnson, ciò che più terrorizza Bruxelles è la possibilità di fronteggiare un Paese pronto a riscrivere le sue regole economiche bancarie e finanziarie per attirare capitali stranieri. Gli analisti non escludono una politica di sconti fiscali, costruzione di zone economiche speciali (per favorire una reindustrializzazione), deregolamentazione bancaria e stimolo monetario all'afflusso di capitali ecc. In pratica, un vero e proprio paradiso fiscale al di là della Manica, magari su modello delle isole Cayman o, più verosimilmente, a Singapore. Questo porterà ad attriti con la UE ma, tra il "take back control" di Farage e il piano di "Global Britain" di Johnson c'è più che una semplice questione di assonanza semantica. Naturalmente la Gran Bretagna continuerà ad acquistare prodotti e servizi dalla UE - lo vedremo nei prossimi mesi - visto che aveva già stabilito una ampia esenzione dai dazi e chiederà un accordo tipo CETA. Resta da capire come si comporterà Bruxelles, cui il mercato inglese fa sempre gola, ma non sembra ancora aver capito perché Londra ha mollato la compagnia.
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