Purpose aziendale: perché 2 manager su 3 lo conoscono ma faticano a integrarlo
Kotlar (Politecnico di Milano): la consapevolezza dei manager sul tema è in crescita, ma c'è ancora confusione sulla sua attuazione pratica e sulla misurazione
La maggioranza dei manager italiani è consapevole del purpose aziendale, ovvero la ragione d'essere profonda di un'impresa che va oltre il mero risultato economico, ma permangono forti difficoltà nella sua piena comprensione e integrazione operativa. È quanto emerge dalla seconda edizione della ricerca Osservatorio Purpose in Action della School of Management del Politecnico di Milano, realizzata in collaborazione con Doxa e Tiresia, che ha analizzato 836 manager di aziende medio-grandi. Due manager su tre (il 68%) di medio livello sanno esprimere il purpose della propria azienda, un dato in crescita del 6% rispetto al 2024.
La conoscenza del purpose cresce con il livello gerarchico: la percentuale sale all'80% tra direttori e CEO, ma scende al 63% per i manager di primo livello. Nonostante l'alta consapevolezza, persiste una confusione concettuale. Circa la metà dei rispondenti (51%) ha chiaro il ruolo del purpose nell'organizzazione. Tuttavia, il 40% fatica a distinguerlo da altri elementi identitari come la vision o la mission aziendale. Solo un manager su quattro ne comprende pienamente la differenza. La percezione dell'effettiva comprensione tra colleghi è ancora più bassa: appena il 17% ritiene che gli altri dipendenti lo comprendano realmente, e solo il 24% gli riconosce una rilevanza nelle attività quotidiane.
I dati evidenziano che la crescente rilevanza del purpose nel management aziendale è accompagnata da fraintendimenti che ne rallentano l'attuazione. Tra gli ostacoli si annoverano la mancanza di una definizione univoca, il rischio che venga percepito come una semplice moda manageriale e la tendenza a comunicarlo in modo superficiale.
"Queste evidenze indicano una distanza tra ciò che le persone comprendono del purpose a livello concettuale e ciò che riescono a osservare nei comportamenti e nei processi", spiega Josip Kotlar, Direttore Scientifico dell'Osservatorio e Professore ordinario di Strategia, Innovazione e Family Business al Politecnico di Milano. Kotlar sottolinea che "sebbene la consapevolezza sia in aumento, il passo successivo è tradurla in pratiche concrete a tutti i livelli, rendendo il purpose un fattore di trasformazione e di vantaggio competitivo. Integrare il purpose richiede strutture di governance solide, meccanismi di accountability trasparenti e un efficace coordinamento tra i diversi livelli di leadership, capaci di bilanciare obiettivi di breve e lungo periodo".
La ricerca, basata su un campione rappresentativo di imprese non quotate (69%) e con presenza multinazionale (46%), ha coperto i settori dei servizi (36%), dell'industria (34%) e del commercio (30%). Il management italiano riconosce al purpose una funzione prevalentemente strategica e valoriale.
Le principali funzioni riconosciute al purpose sono:
- Orientare la direzione strategica (43%).
- Rafforzare le relazioni con gli stakeholder (38%).
- Motivare i dipendenti (35%).
- Stimolare l'innovazione (28%).
- Favorire le partnership (26%).
Nonostante queste percezioni positive, gli ostacoli principali alla diffusione riguardano la difficoltà di integrazione nei processi quotidiani (34%) e la mancanza di metriche per misurarne l'efficacia (30%). Inoltre, solo il 13% delle imprese ha registrato un cambiamento strutturale della governance a seguito del lavoro sul purpose. Quasi un terzo dei manager intervistati segnala lacune nella comunicazione interna (30%) e la debole attribuzione di responsabilità specifiche sul tema (30%).
Sul fronte della formalizzazione, solo il 30% del campione aziendale ha adottato una dichiarazione ufficiale (purpose statement) o un framework dedicato. Nelle aziende di medie dimensioni questa percentuale scende ulteriormente al 25%. L'Osservatorio ha identificato tre livelli di maturità aziendale rispetto al purpose: le Pioneers (48%) ritengono di averlo integrato appieno nella cultura e nei processi; le Explorers (22%) si trovano in una fase intermedia di consolidamento; mentre poco meno di un terzo (i Laggards) lo gestisce in modo superficiale o meramente formale.
Il purpose sta iniziando a influenzare le strategie di investimento, in particolare nei settori che riguardano l'innovazione e la digitalizzazione sostenibile (41%), la sostenibilità ambientale (33%) e i progetti sociali o di community engagement (29%). Tuttavia, la maggior parte delle aziende (56%) non destina a queste iniziative più del 15% del budget annuale. L'impatto maggiore del purpose sul brand e sul posizionamento competitivo si manifesta nel rafforzamento dell'identità del marchio (21%) e nell'influenza sulle strategie di comunicazione e marketing (18%). Al contrario, la capacità di differenziarsi dalla concorrenza e la revisione del posizionamento strategico sono gli ambiti meno trasformati (indicati solo dal 17%).
"Le analisi mostrano che nelle imprese italiane oggi il purpose agisce soprattutto come leva esterna di posizionamento", conclude Federico Frattini, Co-Direttore Scientifico dell'Osservatorio e Professore ordinario di Innovazione Strategica alla POLIMI School of Management. Frattini ribadisce la necessità di intervenire sulle aree dove l'impatto è ancora debole, come il potenziamento della formazione e lo sviluppo delle competenze, la revisione dei criteri di valutazione delle performance e il ripensamento del posizionamento competitivo, in modo da rendere il purpose realmente operativo nella crescita aziendale.
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