Job hopping: in Italia funziona solo per le professioni digitali
Pietro Novelli (Oliver James): l'identikit di chi passa da un lavoro all'altro è un professionista ICT, millennial e interessato a migliorare la propria condizione lavorativa. Ma non ci sono solo vantaggi
Addio al posto fisso, almeno per le professioni digitali.
Dopo le Great Resignation, le dimissioni di massa che dal 2018 a oggi, secondo una rielaborazione della società di recruitment Oliver James su dati Anpal Servizi, sono cresciute di circa il 65% (i dimissionari sono infatti passati da circa 350mila a 580mila nell'anno in corso), arriva dall'America una nuova tendenza, il job hopping.

Letteralmente "saltare da un lavoro a un altro", un fenomeno più diffuso tra i millennial che lo utilizzano per assicurarsi stipendi più alti e un posto di lavoro con un miglior life-work balance.
E l'Italia non è certo immune da questa tendenza, che però è per lo più appannaggio delle posizioni in ambito IT.
Job hopping: le professioni digitali
Stando al Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, oltre il 70% delle imprese ha investito in trasformazione tecnologica. Una crescita in controtendenza rispetto all'economia generale che si ripercuote anche sull'incontro tra chi cerca e chi offre lavoro.
Infatti, sempre secondo il bollettino del Sistema informativo Excelsior, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro per le posizioni tecnologiche è in rapido aumento: la difficoltà di reperimento di professionisti adeguati riguarda infatti il 46,4% dei profili ricercati, un valore superiore di circa otto punti percentuali a quello di un anno fa e che equivale a oltre 177mila profili dei 382mila ricercati.
La situazione in Italia
Se usciamo dalle professioni digitali, però, il panorama è un po' diverso.

Infatti, mentre in America il trend è già avviato - secondo l'ultimo report annuale di LinkedIn, negli Stati Uniti i millennial cambiano quasi 2,85 posti di lavoro nei primi cinque anni dalla laurea, contro una media di 1,6 della generazione precedente -, in Italia a fronte di una propensione dei millennial all'idea di cambiare lavoro con una frequenza biennale (secondo uno studio Deloitte), c'è tutto un contesto da considerare.
"Nel nostro Paese la disoccupazione giovanile è ancora molto alta: con un tasso del 23,7%, l'Italia si posiziona al terzo posto in Europa, secondo i dati Eurostat.