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01/02/2023

economia

Aspettando la zampata dell'Orso, che fare?

Michele de Michelis (FRAME): il bear market spesso nasconde moltissime insidie, prima fra tutte far credere di essere morto, ma soprattutto non ama (statisticamente parlando) andarsene via senza aver fatto il peggior male possibile ai portafogli degli investitori

Che bell'inizio d'anno che hanno avuto i mercati azionari in questo 2023! In particolare, i listini europei con un quasi +9% dell'Eurostoxx 50, mentre lo Standard&Poor's 500 sale di poco più del 3%.
Quindi, possiamo dire pericolo passato?
Con tutti i problemi dello scorso anno alle nostre spalle?! Magari fosse così?! Vorrebbe dire che siamo tornati alla tanto amata "goldilocks economy" con crescita giusta, bassa inflazione e le banche centrali che vigilano sornione e rilassate.
Ma la realtà, ahimè, mi sembra alquanto diversa. Del resto, lo avevamo detto negli ultimi giorni del 2022 che il bear market spesso nasconde moltissime insidie, prima fra tutte far credere di essere morto, ma soprattutto non ama (statisticamente parlando) andarsene via senza aver fatto il peggior male possibile ai portafogli degli investitori mentre gli piace tanto creare falsi segnali.
Un dato che sembrerebbe confermare questa tesi riguarda l'allocazione media dei gestori (la "Fund Manager Survey" della Bank of America) che a gennaio è crollata del 27% con un sottopeso di quasi il 40%, quindi molto al di sotto della media di lungo periodo e sui minimi di novembre 2005.

Questo dato significa che moltissimi operatori non hanno partecipato a questo improvviso rally di gennaio e quindi saranno costretti ad inseguire i benchmark, ma soprattutto dubitando del loro pessimismo per il timore di perdere la continuazione del movimento rialzista, cercheranno di giustificarsi con motivazioni realistiche, raccontandosi, ad esempio, che la stagione degli utili non sta andando poi così male. Infatti è vero che per ora le trimestrali non sono cosi catastrofiche, ma soltanto perchè le aspettative erano state abbassate.
E' cosa nota infatti che i CEO delle grandi aziende quotate preferiscano far abbassare le stime a pochi analisti fidati (ognuno ha i suoi) piuttosto che dovere ammettere un profit warning.
Inoltre, le guidance sul prossimo trimestre (e in generale sull'anno) non mi sembrano molto bullish, visto che le peggiori condizioni di finanziamento e la probabile contrazione della spesa dei consumatori preoccupano non poco i direttori delle aziende sino ad ora interrogati (basti riascoltare le interviste rilasciate a Davos).
Ma torniamo al nostro orso che, mentre sembra essere tornato in letargo per lasciare posto al toro, in realtà potrebbe preparare la zampata finale.

Perché? In primis, perchè manca ancora quella che in gergo viene chiamata la "capitulation", ovvero la fase in cui gli investitori sono forzati a vendere i propri asset e quindi i mercati crollano con volumi imponenti (e questo non può avvenire fino a quando i gestori rimarranno sottopesati). Poi, perchè cominciano ad avvertirsi i tipici scricchiolii che anticipano un momento di forte illiquidità e quindi che preparano il terreno all'evento poc'anzi descritto.
Spesso in queste situazioni nel ruolo del protagonista troviamo, suo malgrado, il mercato immobiliare, che, come sappiamo bene, è per definizione poco liquido e spesso a leva, ovvero fatto più da gente che prende a prestito il denaro piuttosto che da chi usa il proprio e basta. E quando si prende a prestito il denaro, se i tassi di interesse salgono e i prezzi delle case cominciano a scendere, qualche problemino tende a materializzarsi. Sarà forse un caso che KKR abbia bloccato i riscatti su un suo fondo immobiliare, oppure che i prezzi delle case americane siano calati dell'1,5 % in dicembre e rispetto al picco di 6 mesi fa la contrazione superi l'11%? E che dire del fatto che nel quarto trimestre il 68% degli acquirenti di case negli Usa abbia disdetto il contratto d'acquisto?
Ovviamente non nascondo il fatto che vedere (mentre vi sto scrivendo) l'indice SP 500 salire sopra i 4000 punti mi riempie di dubbi, e probabilmente ne avrò ancora di più se dovesse rompere il trend ribassista che è partito a inizio 2022.


Pur tuttavia, rimanere coerenti con le proprie idee è fondamentale e quindi ritengo sia corretto mantenere il sottopeso sui risky asset, salvo non sopraggiungano miglioramenti reali nei dati o venisse firmata la pace in Ucraina che preparerebbe una distensione geopolitica a livello mondiale.
Tuttavia, non sono così negativo su tutte le asset class.
Per esempio, le mid-small cap europee, come mi è stato fatto notare, hanno già subito un tracollo nel 2022 e adesso presentano dei multipli (per quanto compressi) estremamente interessanti, oltre a mostrare storie di business davvero notevolissime. Inoltre, la loro presenza nei portafogli degli investitori mondiali è bassissima e quindi non dovrebbero essere oggetto di quelle vendite forzate che tanto mi preoccupano quando si parla invece delle big cap, motivo per cui ritengo abbia senso cominciare ad accumularle da questi livelli.
Infine, noto segnali di inversione di tendenza per la Cina e per gli Emerging Market in generale, anche in questo caso dopo quasi due anni veramente orribili. Non avendo venduto lo scorso anno queste asset class, l'ipotesi di una loro risalita - nel caso si verificasse - non potrebbe che rallegrarmi, per quanto, anche in questo caso, bisognerà prestare molta attenzione.


Infatti, se l'economia americana dovesse veramente avvitarsi, credo che nemmeno gli Emergenti potranno evitare il contagio. Pur tuttavia, qualora la tanto annunciata recessione dovesse risultare non troppo aggressiva, potrebbero salire in controtendenza. Sempre pronto a cambiare idea, aspettiamo i prossimi dati

Michele De Michelis CIO, FRAME Asset Management

 


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