Gran parte del potere che hanno per influenzare nel lungo termine i tassi di interesse - e, di conseguenza, l'economia - deriva infatti dalla loro credibilità; per questo motivo, sono ancora riluttanti nell'ammettere gli errori delle mosse compiute in passato.
Secondo la loro tesi, era impossibile prevedere gli effetti complessivi delle loro decisioni data la portata degli shock economici in atto (tra cui la pandemia da COVID-19) e l'incertezza sui loro risultati.
Solo a posteriori, argomentano, è possibile dire che l'eccesso di stimoli sia stato un errore.
Ne consegue che ora è probabile che commettano errori nella direzione opposta, in modo da non dare l'impressione di essere sempre disposti ad assumere una posizione accomodante.
A ciò si aggiunge la pressione politica: i rappresentanti dei governi sono preoccupati per la reazione che gli elettori mostreranno alle prossime elezioni in relazione all'erosione dei loro standard di vita.
E proprio i governi, nel frattempo, stanno avendo difficoltà nell'elaborare politiche in grado di stabilizzare la crescita e proteggere i cittadini più vulnerabili (quelli maggiormente a rischio di vedere il loro potere d'acquisto eroso dall'inflazione) senza alimentare ulteriori pressioni sui prezzi.
Anche in questo caso, il rischio di errori è elevato, come recentemente evidenziato dal primo ministro britannico, Liz Truss, che intendeva lanciare un programma di tagli consistenti alle imposte senza tenere da conto degli effetti sul debito pubblico, innescando così una spirale di vendite sul mercato obbligazionario britannico.
Tutto ciò ha spinto i governatori delle Banche Centrali a rivedere il proprio peso decisionale.
Le conseguenze di un aumento dei tassi d'interesse si notano solamente dopo un certo periodo di tempo, per questo non vediamo ancora gli effetti delle strette adottate finora dalle banche centrali.
Ora, il pericolo per le economie è che le Banche Centrali si spingano troppo in là.
Tuttavia, se si considera il loro punto di partenza (l'attuale ciclo di restringimento è iniziato con tassi di riferimento pari a zero o addirittura negativi), è probabile che i policymaker vedano un rischio maggiore nel non restringere abbastanza che non nell'eccedere con i rialzi.
La dura verità, tuttavia, è che le economie hanno bisogno che l'inflazione intacchi il valore dell'enorme mole di debito pubblico e privato accumulata nell'ultimo decennio o due.
Le ragioni della "Realpolitik" potrebbero costringere le banche centrali ad accettare un'inflazione più elevata rispetto a quella che si sono poste come obiettivo.
Ciò potrebbe significare modificare il loro mandato o, più probabilmente, chiudere un occhio su eventuali sforamenti dell'inflazione, purché non eccessivi.
Nel frattempo, è anche probabile che le Banche Centrali compiranno dei passi in avanti verso l'adozione delle valute digitali, cosa che permetterebbe loro di elaborare stimoli in modo molto più preciso ed efficace e di aprire le porte ad altri strumenti non convenzionali di politica monetaria.
Per il momento, però, sono costrette a lavorare solo con gli strumenti tradizionali a loro disposizione.
A causa di questa miscela di vincoli politici e mutamenti nella reattività delle Banche Centrali, i mercati potrebbero affrontare una volatilità ancora maggiore.
Questo, senza considerare il fatto che i policymaker non potranno mantenere bassi quei tassi di interesse che fino a poco tempo fa si attestavano sui minimi storici.
Le fluttuazioni di mercato cui abbiamo assistito negli ultimi mesi sono destinate a diventare la norma, anche nel reddito fisso.
I problemi della scarsa crescita e liquidità in contrazione
I punti deboli del reddito fisso sono in questo momento centrati su un'inflazione in aumento, una riduzione della crescita e una liquidità di mercato in netta contrazione.
D'altro canto, la ridefinizione dei prezzi in tutto l'universo del reddito fisso è stata talmente imponente da cominciare a far apparire convenienti molte obbligazioni, siano queste sovrane, societarie, dei mercati emergenti o dei mercati sviluppati.
I tassi di breakeven stanno compensando sempre più gli investitori per la volatilità.
Anche nella parte più rischiosa del mercato del credito, le classi di obbligazioni convertibili contingenti, ad esempio, sembrano ora interessanti, con rendimenti a una o addirittura due cifre e prezzi della liquidità relativamente bassi.
Ciò lascia gli investitori meno esposti al rischio di ribassi e con migliori prospettive di rendimenti sopra la media.
Nel corso del tempo, è plausibile che questo tipo di opportunità porti rendimenti annualizzati interessanti agli investitori.
A differenza di 12 mesi fa (quando gli investitori ricevevano livelli di rendimento propri del mercato obbligazionario per rischi di tipo azionario), ora si sta realizzando il contrario: sul comparto azionario gli investitori ricevono rendimenti comparabili a quelli obbligazionari di lungo termine.
Il mondo ora è più complicato di quanto non lo fosse alla vigilia della pandemia di COVID e i decisori politici (sia lato Banche Centrali, che governi) stanno lottando per trovare il giusto equilibrio tra inflazione, alti livelli di debito ed eventi che si portano dietro grandi incertezze (guerra in Ucraina).
Il mercato obbligazionario risentirà ancora di una significativa volatilità.
Tuttavia, per gli investitori iniziano a emergere opportunità interessanti, non da ultimo in quelle aree in cui gli spread creditizi si sono maggiormente ampliati.
Jon Mawby, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management
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