HR: oltre un italiano su due vorrebbe una settimana lavorativa di 4 giorni
Marisa Campagnoli (ADP): Una soluzione che qualcuno ha già adottato. Se le imprese riescono a farlo funzionare assicurando che le esigenze aziendali continuino a essere soddisfatte, potrebbe essere vantaggioso per tutti
La pandemia ha cambiato completamente lo scenario delle imprese. Ora i lavoratori desiderano maggiore flessibilità nella loro vita lavorativa: smartworking, il passaggio a una settimana lavorativa di quattro giorni, organizzazione personalizzata delle ore e del luogo di lavoro.
Sono solo alcune delle tendenze che emergono da "People at Work 2022: A Global Workforce View" l'annuale survey redatta dall'ADP Research Institute. L'indagine si è svolta su circa 33.000 lavoratori in 17 Paesi, di cui circa 2000 in Italia.
Il 56% degli intervistati sarebbe d'accordo di passare a una settimana lavorativa di 4 giorni, arrivando così a lavorare 10 ore al giorno pur di avere un giorno libero in più a settimana.
"Alcuni datori di lavoro stanno già introducendo la settimana lavorativa di quattro giorni, un cambiamento epocale. Se riescono a farlo funzionare assicurando che le esigenze aziendali continuino a essere soddisfatte, potrebbe essere vantaggioso per tutti", specifica Marisa Campagnoli, HR Director ADP Italia. "Non molto tempo fa, idee come adottare un orario flessibile diffuso o consentire ai dipendenti di condensare le proprie ore in quattro giorni avrebbero potuto essere derise.
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Ora meritano una riflessione seria, soprattutto se la concessione di richieste di salari più elevati non è un'opzione praticabile".
Il 35% accetterebbe infatti una riduzione della retribuzione se ciò significasse migliorare il proprio equilibrio tra lavoro e vita privata, anche senza nessuna modifica delle ore lavorative.
"Il lavoro ibrido e quello a distanza sono ormai due modalità professionali consolidate, anche se non è ancora ben chiaro quanto siano destinate a durare. Quel che invece si è affermato definitivamente sono la fusione tra casa e luogo di lavoro e l'erosione del modello classico di orario d'ufficio dalle 9 alle 17. Questo ha implicazioni a lungo termine per l'organizzazione della vita dei dipendenti, per il tipo di lavoro che svolgono e il modo in cui lo svolgono, e di conseguenza per il mercato del lavoro", dichiara Campagnoli. "Tra sospensioni e re-imposizioni dei lockdown in un momento in cui la popolazione è ancora vulnerabile, emerge una questione controversa: è possibile chiedere o costringere i dipendenti a tornare in ufficio anche se non è necessario? Per molti potrebbe essere un punto cruciale, se non la proverbiale goccia che li spingerebbe a licenziarsi (il 45% degli intervistati)".
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Da sottolineare come la metà dei dipendenti intervistati (54%) afferma di aver preso in considerazione di cambiare lavoro negli ultimi 12 mesi. Di questi, uno su quattro (21%) ha pensato di cambiare settore, il 14% di richiedere un anno sabbatico. Il 13% ha pensato di aprire un'azienda, di prendersi una pausa temporanea dal lavoro (12%) o di lavorare part-time (13%), mentre uno su dieci ha considerato l'ipotesi del pensionamento anticipato (11%). Sono più le donne che desiderano passare al part-time (15% contro l'11% degli uomini).
"In questo periodo di cambiamenti radicali, i datori di lavoro devono concentrarsi prima di tutto sulla gestione delle nuove dinamiche lavorative e sulla fidelizzazione della forza lavoro. Per farlo devono porre le domande giuste, capire meglio i dipendenti, compreso il modo in cui la mentalità prevalente è cambiata, per adeguare l'approccio da adottare di conseguenza. Probabilmente dovranno prendere decisioni coraggiose e superare i preconcetti, come molte aziende hanno già fatto, ma saranno decisioni fondamentali per il benessere dell'azienda e della sua produttività", conclude Campagnoli.