È quanto emerge dall'ultima edizione del Randstad Workmonitor - l'indagine sul mondo del lavoro di Randstad condotta a maggio in 15 Paesi del mondo su un campione di oltre 400 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione, che lavorano almeno 24 ore alla settimana e percepiscono un compenso economico per questa attività - che ha analizzato l'impatto del coronavirus sul mondo del lavoro e le reazioni di imprese e lavoratori alla situazione di emergenza.
"L'emergenza COVID-19 ha portato una nuova normalità , costringendo le imprese a riorganizzare rapidamente attività e modalità di lavoro e generando insicurezza nei lavoratori", afferma Marco Ceresa, AD Randstad Italia. "La crisi ha imposto un'accelerazione sul fronte della digitalizzazione e di modelli organizzativi più agili e ci vorrà del tempo per completare la transizione alla nuova realtà , ma i risultati del Workmonitor sono incoraggianti. Le imprese stanno aumentando gli investimenti in soluzioni digitali e in formazione per mettere i lavoratori nelle condizioni di adattarsi alla nuova realtà lavorativa, e cresce anche l'attenzione al benessere emotivo dei dipendenti (indicata dal 70% del campione) e al work-life balance (69%)".
L'impatto del COVID-19 sul mondo del lavoro
Il 62% dei dipendenti italiani teme che l'emergenza COVID-19 avrà un impatto negativo sulla sicurezza del proprio lavoro, due punti in meno rispetto alla media globale. I più spaventati sono gli uomini (64%, contro il 61% delle colleghe) e i lavoratori più giovani (81% dei 18-24enni e 70% dei 25-34enni, contro il 53% degli over 55). Uomini e dipendenti under 25 sono anche i dipendenti più fiduciosi nel sostegno del datore di lavoro (rispettivamente 55% contro il 50% delle donne e 68% contro il 38% dei senior) o del governo (56% uomini e 53% donne, 68% under 25 e 49% over 55) nella ricerca di un nuovo impiego.
Il 60%, invece, ritiene che la crisi abbia già avuto un impatto negativo sul proprio lavoro (-3% sulla media globale), senza rilevanti differenze di genere, mentre tra le fasce di età i giovanissimi risultano ancora i più colpiti (65% contro il 53% degli over 55). La maggior parte dei lavoratori, però, ha reagito positivamente, con il 70% che dichiara di essersi adattato alla nuova realtà lavorativa, anche se dal confronto con gli altri paesi esaminati emerge come questa percentuale sia lontana ben tredici punti dalla media complessiva e superiore solo ai giapponesi (65%). Il lavoro al tempo del Covid è soprattutto digitale e gli italiani si sentono pronti alla sfida: l'80% si sente all'altezza (+1% sulla media globale), secondi in Europa dopo i portoghesi (90%), senza evidenti differenze fra generi e fasce anagrafiche.
Digitalizzazione e nuovi modelli organizzativi
Dall'inizio dell'emergenza è esploso il ricorso a forme di lavoro agile, che necessitano però di competenze e strumenti digitali per poter essere svolte e di nuove modalità di organizzazione del lavoro. Secondo l'83% del campione, è responsabilità dell'azienda mettere a disposizione del dipendente una formazione digitale, tre punti in più della media globale e al primo posto in Europa. I più convinti sono gli uomini (85%, contro l'81% delle colleghe) e i dipendenti nella fascia 45-54 anni (86%) e 55-67 anni (85%).
Le aziende si stanno attrezzando per rispondere alle aspettative dei lavoratori e garantire la continuità operativa. Secondo il 62% dei dipendenti, il proprio datore di lavoro sta investendo in nuove tecnologie e soluzioni digitali (-3% rispetto alla media globale), soprattutto nella fascia 18-24 anni. Per il 59% l'azienda fornisce gli strumenti necessari a svolgere il lavoro da casa (-5% sulla media mondiale), in maggioranza i 35-44enni. Per il 61% l'impresa sta investendo in formazione su competenze e strumenti digitali per aiutare i dipendenti a lavorare in emergenza, percezione molto diffusa nelle fasce 18-24 (68%), 35-44 (64%) e 55-67 anni (64%). Per il 63%, infine, il datore di lavoro organizza frequenti riunioni virtuali per informare e coordinare il team di lavoro (-3% rispetto alla media mondiale), soprattutto donne (65%, contro il 62% dei colleghi) e Millennial (25-34enni, 68%).
Le nuove relazioni fra lavoratori e imprese
Il frequente ricorso allo smartworking e a strumenti di lavoro e di comunicazione digitali portano spesso a un aumento dell'orario di lavoro e della reperibilità . Per il 60% del campione, infatti, il proprio datore di lavoro si aspetta che i dipendenti siano disponibili oltre al normale orario di lavoro (-1% sulla media globale). Una sensazione che in Europa è più comune soltanto in Portogallo (72%) e Spagna (64%) e più frequente fra uomini (62% contro il 58% delle colleghe) e nelle fasce di età 18-24 (65%) e 45-54 anni (67%). Ma le aziende si mostrano anche flessibili: per il 69% l'impresa consente al lavoratore di gestire in autonomia orario di lavoro e priorità famigliari (-4% rispetto alla media globale), opinione comune fra i 35-44enni (75%) e gli over 55 (81%), e il 70% si prende cura del benessere emotivo dei dipendenti (cinque punti in meno della media mondiale), anche in questo caso soprattutto dei 35-44enni (76%) e degli over 55 (75%).
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