AI e diritto d'autore: la nuova sfida del Made in Italy tra innovazione e tutela
Avv. Iulietto: la difficoltà è costruire ecosistemi digitali in cui la legge e la tecnologia dialoghino, non si scontrino
Nel 2025, l'Italia, riconosciuta come capitale mondiale del design e della manifattura di qualità, si trova di fronte a una cruciale trasformazione digitale. L'avvento dell'intelligenza artificiale generativa solleva questioni che vanno oltre la mera innovazione tecnologica, focalizzandosi sulla necessità di salvaguardare l'identità intellettuale del Paese.
Secondo i dati ISTAT 2024, solamente l'8,2% delle imprese italiane con almeno dieci dipendenti ha adottato tecnologie basate sull'intelligenza artificiale, un dato inferiore alla media europea del 13,5%. Questo divario è particolarmente evidente nelle PMI, dove l'adozione dell'AI rimane limitata. Nonostante ciò, il settore manifatturiero e creativo italiano mostra una notevole vitalità. Nel 2024, l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) ha registrato 10.148 domande di brevetto per invenzione industriale, segnando un aumento del 7,4% rispetto all'anno precedente.
L'integrazione dell'intelligenza artificiale nei processi creativi, dalla progettazione alla generazione di modelli, non solo modifica le metodologie di creazione, ma ridefinisce anche il concetto di proprietà delle idee. Sorgono interrogativi fondamentali: chi detiene i diritti sull'opera che l'algoritmo ha elaborato? E come si gestisce un vasto ecosistema di dati composto da file CAD, pattern di moda, texture digitali o disegni ornamentali, spesso già protetti da copyright o registrazioni industriali? La questione non riguarda esclusivamente i diritti sulle opere impiegate per addestrare i modelli, ma anche la titolarità dei nuovi contenuti generati. In Europa, questi ultimi rimangono protetti solo se è presente un effettivo contributo creativo umano. In un contesto in cui l'AI assume un ruolo attivo nel processo creativo, diventa essenziale ridefinire il confine tra tecnologia e ingegno umano.
Proprietà intellettuale e AI Act: tra opportunità e incertezza giuridica
L'introduzione dell'AI Act europeo impone nuovi obblighi di trasparenza e tracciabilità dei dati di addestramento, ma lascia aperte diverse aree grigie in materia di diritti d'autore e brevetti generativi. Le aziende italiane del design, della moda, dell'automotive e dell'arredamento, pilastri del Made in Italy, si trovano in una posizione complessa: da un lato, la spinta all'innovazione; dall'altro, il rischio di violare involontariamente il copyright. Gli algoritmi generativi hanno infatti la capacità di ricombinare modelli, pattern o elementi stilistici appartenenti a autori e brand registrati, spesso senza che ciò sia immediatamente riconoscibile. In assenza di un sistema di governance legale dei dati, risulta difficile determinare chi sia il titolare del diritto su un prodotto co-creato da uomo e macchina.
"L'AI è un acceleratore straordinario, ma senza regole chiare rischia di erodere il valore stesso della creatività. La manifattura italiana deve difendere il suo capitale più prezioso: la proprietà intellettuale," afferma Gian Marco Iulietto, esperto di diritto delle nuove tecnologie e finalista ai Leadership, Influence & Inclusivity dei Legal Awards 2025 di Law.com International. Iulietto sottolinea che il futuro del Made in Italy non dipende unicamente dalla capacità di innovare, ma dalla possibilità di farlo in modo sicuro, etico e conforme. La sfida consiste nel costruire ecosistemi digitali in cui legge e tecnologia possano collaborare, piuttosto che entrare in conflitto.
Un ecosistema di competenze ibride che genera valore
Per mantenere la propria competitività, la manifattura italiana necessita di un nuovo ecosistema di competenze ibride che integri creatività, diritto e tecnologia. Secondo il report dell'OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale), le registrazioni di design industriale da parte di imprese italiane sono cresciute del 15,7%, evidenziando una vitalità progettuale che richiede strumenti di tutela sempre più sofisticati. Questa crescita si inserisce in un processo più ampio di digitalizzazione e investimenti tecnologici nel comparto manifatturiero, che sta trasformando radicalmente le modalità di protezione della proprietà intellettuale. Ciò richiede competenze legali in grado di operare sia negli ambienti fisici che in quelli digitali.
In questo scenario, non è più sufficiente il tradizionale dialogo tra designer e ingegnere: sono necessarie figure capaci di navigare simultaneamente tra creatività progettuale, conformità normativa e governance tecnologica. Come ribadisce Iulietto: "La crescita delle aziende nel digitale richiede la creazione di un'intera struttura legale che supporti il funzionamento tecnologico fin dalle prime fasi, non come adempimento successivo ma come parte integrante dell'architettura aziendale".
Tra le competenze emergenti, gli esperti di proprietà intellettuale digitale sono cruciali per la gestione di licenze e modelli all'interno dei database di AI, valutando i rischi di riutilizzo non autorizzato e definendo strategie di protezione adeguate all'ecosistema digitale. I data e AI engineer con competenze legali strutturano dataset nel rispetto delle normative su copyright, brevetti e segreti commerciali, assicurando che l'addestramento dei sistemi generativi avvenga in modo lecito e tracciabile. Infine, i compliance manager AI garantiscono l'accountability delle soluzioni generative, documentando i processi decisionali e assicurando la rispondenza ai requisiti dell'AI Act europeo. Costruire un ecosistema di questo tipo significa integrare la conformità normativa fin dalle fasi iniziali del processo creativo, trasformando la capacità innovativa del design italiano in un vantaggio competitivo nell'era dell'intelligenza artificiale.
