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05/11/2025

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Oltre l'ufficio: lo smartworking torna a crescere e l'AI ne ridefinisce i confini

Aumentano i lavoratori da remoto, soprattutto nelle PA. Rialzo nelle grandi imprese e contrazione nelle PMI. Coinvolge 3,57 milioni di lavoratori

Il lavoro da remoto torna a guadagnare terreno in Italia nel 2025, superando un lieve calo registrato l'anno precedente. Circa 3.575.000 lavoratori svolgono attività in modalità smartworking per almeno una parte del loro tempo, segnando un incremento dello 0,6% rispetto all'anno precedente. Questa ripresa è trainata in particolare dal settore pubblico, che vede un notevole aumento dell'11%, coinvolgendo 555.000 dipendenti, pari al 17% del personale totale della Pubblica Amministrazione. Anche le grandi imprese mostrano una crescita, con un +1,8% che porta a 1.945.000 lavoratori in remoto, ovvero il 53% della loro forza lavoro. Viceversa, le piccole e medie imprese (PMI) e le microimprese registrano un calo significativo, rispettivamente del -7,7% e -4,8%, con il lavoro da remoto che interessa solo l'8% dei loro dipendenti.

L'adozione di iniziative di smartworking è quasi universale nelle grandi imprese italiane, con il 95% che le ha implementate, e in costante aumento nel settore pubblico, dove il 67% delle PA ha adottato tali progetti, sei punti percentuali in più rispetto al 2024. Questi contesti tendono a definire policy o linee guida strutturate. Nelle PMI, invece, la percentuale scende al 45% (otto punti in meno rispetto al 2024), con una gestione spesso informale, basata su accordi diretti tra lavoratore e responsabile.
I lavoratori continuano ad apprezzare e utilizzare l'opportunità offerta dal lavoro da remoto. Nelle grandi imprese, solo il 15% dei dipendenti utilizza meno giorni di smartworking rispetto a quanto concordato, prevalentemente per esigenze urgenti in sede. Nelle PA, la percentuale sale al 28%, spesso per scelte personali. Il quadro nelle PMI è più variegato: circa la metà dei lavoratori rispetta i giorni stabiliti, il 22% ne usufruisce meno, mentre un 15% ne beneficia di più, grazie alla maggiore flessibilità consentita dall'approccio informale.

Lo Smartworking in Italia è ormai una realtà consolidata, che si è definitivamente distaccata dalle misure di emergenza legate al periodo della pandemia. Si sta affermando un modello ibrido che bilancia il lavoro in presenza con quello da remoto, in base alle esigenze personali e organizzative e a specifiche policy o linee guida. Sia i lavoratori che le organizzazioni che hanno adottato questa modalità ne riconoscono sempre più i benefici e, indipendentemente dalle normative, difficilmente tornerebbero a un modello esclusivamente in presenza.
Il potenziale di crescita dello Smartworking non è ancora esaurito. Un 21% dei lavoratori che attualmente non operano da remoto ritiene di poter svolgere almeno la metà delle proprie mansioni con la stessa efficacia e supporto tecnologico da un luogo diverso dalla sede aziendale. Questo suggerisce l'opportunità di aggiungere circa 3 milioni di nuovi smart worker, avvicinandosi ai 6,5 milioni raggiunti durante il picco pandemico. La flessibilità oraria e la settimana corta sono le forme di flessibilità più desiderate da coloro che non praticano il lavoro da remoto; quest'ultima è attualmente presente solo nel 10% delle grandi organizzazioni e spesso in fase sperimentale.

Questi dati emergono da una ricerca dell'Osservatorio Smartworking del Politecnico di Milano, presentata al convegno "Lo Smartworking ai tempi dell'AI: opportunità e sfide verso il lavoro del futuro".
Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell'Osservatorio Smartworking, ha dichiarato: "Lo Smartworking in Italia è oggi una realtà consolidata, soprattutto nelle grandi imprese. Sempre più organizzazioni abbandonano modelli tradizionali in presenza per adottare modelli ibridi che alternano il lavoro in sede a quello da remoto, in cui l'obiettivo è costruire un equilibrio virtuoso tra le due modalità, garantendo coesione di team, autonomia individuale e mantenimento del legame con l'organizzazione. Oggi il vero interrogativo per i manager non riguarda 'se' fare Smartworking, ma come far evolvere i modelli per renderli sempre più efficaci ed evitare che si assestino in routine 'scontate' che non garantiscono la necessaria tensione al miglioramento. Per sfruttare appieno le potenzialità di trasformazione dello Smart Working, capi e collaboratori devono lavorare per rafforzare continuamente la capacità di assegnare e perseguire obiettivi di progetto, di delegare e di sentirsi responsabilizzati sui risultati, mentre le organizzazioni devono riflettere sull'evoluzione di questi modelli per rispondere alle esigenze emergenti delle persone e cogliere le opportunità offerte dall'evoluzione tecnologica".

Fiorella Crespi, Direttrice dell'Osservatorio Smartworking, ha aggiunto: "In un Paese in cui la forza lavoro si riduce e invecchia, lo Smartworking vissuto come stimolo continuo al miglioramento organizzativo può accompagnare l'innovazione tecnologica diventando leva strategica per rispondere alle dinamiche demografiche, mantenere la competitività sul mercato e rendere il lavoro più sostenibile per le persone. Il progresso dell'Artificial Intelligence rappresenta da questo punto di vista una sfida: l'automazione delle attività più ripetitive grazie all'AI libera risorse, consentendo di concentrare le energie su mansioni a maggiore valore aggiunto e offrendo alle persone spazio per creatività, formazione e per sé stessi. Se adottato senza la necessaria visione, tuttavia, l'AI rischia di diffondere una percezione di sostituibilità delle persone, minando motivazione, engagement e senso di purpose individuale, soprattutto tra le nuove generazioni. I manager devono utilizzare lo Smartworking per mantenere una tensione al miglioramento e generare fiducia nell'impatto positivo che le nuove tecnologie possono dare nel rendere il lavoro più attrattivo, sicuro e sostenibile, valorizzando e non perdendo il contributo delle persone".


Analizzando i modelli di smartworking, quello ibrido, che alterna presenza in sede e lavoro da remoto, è il più diffuso in Italia. Il full remote è invece raro, limitato a poche realtà, prevalentemente di piccole dimensioni e nel settore dei servizi. Esistono diversi approcci al modello ibrido: il più comune è quello strutturato, dove i lavoratori alternano le sedi rispettando policy definite; meno diffusi sono gli approcci basati su linee guida non vincolanti o sulla libera scelta del lavoratore.
Anche l'applicazione delle policy sullo smartworking varia. Il 36% dei lavoratori con possibilità di lavorare da remoto sceglie autonomamente i giorni di presenza in base alle proprie esigenze, adottando un approccio individualista. Il 32% si basa sulle indicazioni fornite dall'organizzazione (approccio centralizzato), mentre il restante 32% prende decisioni a livello di team, bilanciando necessità individuali e organizzative (approccio collaborativo). Quest'ultimo è associato ai migliori risultati in termini di engagement, prestazioni organizzative e benessere dei lavoratori. Tra i white collar, il livello medio di engagement per chi utilizza un approccio collaborativo è 6,65 (su una scala da 1 a 10), superiore al 6,14 per chi non ha autonomia decisionale e al 6,05 per chi è guidato dalla scelta personale. L'approccio collaborativo favorisce anche migliori prestazioni in decisioni e comunicazioni, e rafforza il senso di appartenenza all'organizzazione, raggiungendo il 40% contro il 36% dell'approccio centralizzato e il 35% di quello individualista (la media generale tra smart worker è 37% rispetto al 31% degli altri lavoratori).


La difficoltà a "disconnettersi" si conferma una sfida per gli smart worker. Tra i white collar, il 35% di chi lavora da remoto soffre di overworking, contro il 30% di chi lavora sempre in sede. Consapevoli di questo, il 49% delle grandi organizzazioni private con progetti di smartworking sta implementando misure, principalmente (nel 43% dei casi) definendo fasce orarie in cui i dipendenti non sono contattabili. Meno comuni sono iniziative più drastiche, come la sospensione delle attività dei server (2%) o il divieto di inviare comunicazioni in orari o giorni specifici (8%). Nel settore pubblico, il 78% delle amministrazioni che adottano il lavoro agile implementa misure per tutelare il diritto alla disconnessione.


I dati della ricerca evidenziano come l'Intelligenza Artificiale (AI) stia già influenzando profondamente i modi di lavorare, modificando il mix di attività e generando nuove opportunità di autonomia e lavoro per obiettivi. L'uso di strumenti di AI consente di liberare tempo prezioso, precedentemente dedicato a compiti routinari e vincolati da luoghi e orari, per reinvestirlo in attività a maggiore valore aggiunto, come l'innovazione e lo sviluppo di nuovi contenuti. Ad esempio, lavoratori come consulenti telefonici o addetti al customer care, che oggi dedicano gran parte del loro tempo all'interazione sincrona con i clienti, possono utilizzare l'AI per efficientare queste comunicazioni dirette, liberando così tempo da dedicare a collaborazioni e alla creazione di contenuti, attività meno dipendenti da spazi e orari. L'AI non solo migliora l'efficienza, ma permette di riprogettare le mansioni, rendendole più autonome, a valore aggiunto e, di conseguenza, potenzialmente più compatibili con un modello di smartworking.


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