Dazi USA sui farmaci brandizzati: chi vince e chi paga il prezzo nascosto
De Martinis (Coface): un'analisi rivela come i dazi in vigore da ottobre 2025, proteggano le grandi aziende farmaceutiche
Coface, leader nell'assicurazione del credito, ha analizzato l'impatto dei nuovi dazi statunitensi sui farmaci brandizzati, che entreranno in vigore dal 1° ottobre 2025. Nonostante l'annuncio di tariffe al 100% abbia catturato l'attenzione, le esenzioni previste per chi stabilisce produzioni negli USA di fatto salvaguardano le maggiori aziende farmaceutiche. L'onere principale ricade così sui produttori esteri più piccoli, privi di una presenza manifatturiera sul territorio americano.
A partire dalla data indicata, i farmaci di marca e brevettati saranno soggetti a un dazio del 100%. L'unica via per l'esenzione è dimostrare di aver già avviato o essere in fase di costruzione di uno stabilimento produttivo negli Stati Uniti. Restano invece ampiamente esenti da queste nuove tariffe i farmaci generici e i principi attivi farmaceutici (API).

Il settore farmaceutico è stato individuato come obiettivo strategico dall'amministrazione statunitense per diverse ragioni. Economicamente, l'industria mostra un significativo deficit commerciale, con circa l'88% dello squilibrio negli USA derivante da farmaci di marca importati principalmente dall'Unione Europea e dalla Svizzera. Politicamente, i farmaci di marca sono venduti negli Stati Uniti a prezzi di produzione circa 4,4 volte superiori alla media OCSE, rendendo il mercato americano il più redditizio per i produttori e una questione socialmente e politicamente delicata.
Le grandi aziende farmaceutiche hanno progressivamente spostato la produzione verso giurisdizioni a bassa tassazione, come l'Irlanda, una tendenza accentuata dal Tax Cuts and Jobs Act del 2017 che ha incentivato gli investimenti e lo spostamento dei profitti all'estero. Con l'introduzione di questi dazi, l'amministrazione mira a invertire tale rotta attraverso una politica "America First", finalizzata a creare posti di lavoro, aumentare le entrate fiscali e potenziare la resilienza della catena di approvvigionamento. Il settore è inoltre sotto indagine per la sicurezza nazionale, nell'ambito della sezione 232, dall'aprile 2025.
Le maggiori aziende farmaceutiche sono sostanzialmente protette da queste misure. Hanno anticipato le mosse politiche, impegnandosi nell'ultimo anno per oltre 350 miliardi di dollari in investimenti nella produzione USA per il periodo 2025-2030. Molti dei principali attori già producono negli Stati Uniti o hanno strutture in costruzione. Tra i player più rilevanti, solo Pfizer e Novo Nordisk non hanno ancora annunciato nuovi investimenti, sebbene entrambe posseggano già impianti sul suolo americano. Le aziende sprovviste di uno stabilimento USA in costruzione dovrebbero iniziare rapidamente i lavori per evitare i dazi che scatteranno il 1° ottobre. Queste barriere rafforzeranno il dominio delle grandi aziende, creando un doppio ostacolo per i potenziali concorrenti: elevati requisiti di capitale per la produzione locale e un'imposta del 100% per l'accesso al mercato. Questo scenario potrebbe favorire accordi di licenza con i giganti del settore, piuttosto che incoraggiare nuovi entranti a stabilire una propria produzione negli Stati Uniti.
I principali costi di questi dazi ricadranno sui piccoli produttori esteri di farmaci brandizzati che non hanno una presenza manifatturiera negli Stati Uniti. Aziende con capacità produttiva limitata e una forte dipendenza dalle esportazioni verso gli USA affronteranno rischi significativi. Questo è particolarmente vero per i piccoli produttori asiatici (cinesi, sudcoreani, australiani, singaporiani), spesso con uno o pochi farmaci approvati dalla FDA. Molti di questi potrebbero non disporre delle risorse necessarie per avviare rapidamente operazioni negli USA, esponendoli a perdite di fatturato e alla potenziale uscita dal mercato. Una simile situazione potrebbe comportare una riduzione dell'innovazione in aree terapeutiche specializzate e accelerare processi di consolidamento attraverso partnership o acquisizioni.
I produttori farmaceutici europei e giapponesi senza strutture produttive USA in fase di costruzione godranno di un dazio massimo del 15%, grazie a recenti accordi commerciali bilaterali. Questo offre un parziale alleggerimento rispetto ad altri concorrenti esteri, ma rappresenta comunque un aumento significativo dei costi per le aziende che esportano farmaci di alto valore negli Stati Uniti senza produzione locale, creando uno svantaggio competitivo rispetto alle imprese completamente esentate.
I produttori di generici e API rimangono protetti dai dazi. I farmaci generici costituiscono circa il 90% delle prescrizioni negli USA, pur rappresentando solo il 13% della spesa totale in prescrizioni. La loro accessibilità è una questione politicamente sensibile, il che spiega la loro esenzione. Questa misura protegge fornitori chiave come l'India e il Messico e garantisce la continuità delle medicine essenziali. Tuttavia, l'esenzione potrebbe non essere permanente: future tensioni commerciali o preoccupazioni per la sicurezza nazionale potrebbero estendere i controlli anche a questi segmenti. I prezzi dei farmaci negli USA non dovrebbero aumentare a causa dei dazi, grazie alla clausola sulla produzione nazionale e alle esenzioni per i generici, che limitano il rischio di trasferimento dei costi ai consumatori. Tuttavia, la pressione politica per abbassare i prezzi persiste attraverso forze strutturali come la politica dei prezzi dei farmaci Most Favored Nation, la negoziazione dei prezzi dell'Inflation Reduction Act e il continuo controllo normativo sugli intermediari del settore.
I ripetuti appelli dell'attuale amministrazione USA alle aziende farmaceutiche per abbassare i prezzi dei farmaci hanno finora sortito risultati limitati. Questa situazione potrebbe spingere l'amministrazione ad adottare misure più severe, come un aumento dei dazi o un inasprimento dei criteri di esenzione, per ottenere maggiore influenza sull'industria e contenere i costi dei farmaci.
Ernesto De Martinis, CEO Regione Mediterraneo & Africa di Coface, ha commentato: "I nuovi dazi statunitensi sui farmaci brandizzati rappresentano un cambiamento significativo nel panorama commerciale globale del settore farmaceutico. Le grandi aziende, che hanno già investito massicciamente nella produzione statunitense, risultano sostanzialmente protette, mentre i piccoli produttori esteri potrebbero trovarsi ad affrontare barriere all'ingresso insormontabili. Questo scenario richiede un attento monitoraggio del rischio commerciale, soprattutto per le imprese con forte esposizione verso il mercato americano e capacità produttiva limitata sul territorio USA. In un contesto di crescenti tensioni commerciali e pressioni politiche sui prezzi, le aziende farmaceutiche devono adottare strategie preventive per tutelare la propria competitività e continuità operativa".
Pietro Vargiu, Country Manager Italia di Coface, ha aggiunto: "Per le imprese italiane del settore farmaceutico, gli Stati Uniti rappresentano un mercato cruciale ma sempre più complesso. Se da un lato i grandi gruppi sono meglio attrezzati per affrontare le nuove regole grazie a investimenti strutturali, le aziende di dimensioni più contenute rischiano di trovarsi esposte a costi aggiuntivi e a una minore competitività. In questo contesto, la gestione preventiva del rischio commerciale e una strategia di internazionalizzazione ben calibrata diventano elementi imprescindibili per garantire stabilità e crescita sostenibile".
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