L'Europa dimentica Maastricht: il debito esplode, cosa faranno le banche centrali?
Naumer (Allianz GI): il debito sovrano è fuori controllo, crescono i rendimenti obbligazionari
Qualcuno si ricorda ancora dei criteri di Maastricht, i requisiti minimi un tempo stabiliti per entrare nell'area euro? Idealmente, dovevano rappresentare il "biglietto d'ingresso" formale alla moneta unica. Da allora, tuttavia, l'unione monetaria europea si è allontanata parecchio da quei parametri iniziali. Oggi sarebbe già un risultato notevole se gli Stati membri riuscissero anche solo ad avvicinarsi alle soglie previste, vale a dire un rapporto debito/PIL (debito pubblico in percentuale del prodotto interno lordo) del 60% e un disavanzo di bilancio massimo del 3%. La realtà attuale - criteri di Maastricht o meno - è piuttosto: "100 è il nuovo 60", visto che diversi Paesi dell'Unione Europea si aggirano intorno o superano ampiamente quel livello di indebitamento. Se da un lato la media dell'UE si attesta all'83%, e la Germania si mantiene relativamente vicina alla soglia originaria con un rapporto debito/PIL del 63%, dall'altro la Spagna ha già superato, seppur di poco, la tripla cifra. Secondo i dati della Commissione europea, il debito sovrano dell'Italia ammonta al 138% del PIL, valore comunque lontano dal picco del 154% toccato nel 2020. E poi c'è la Francia: con un rapporto debito/PIL del 115%, è evidente che il governo francese debba invertire la rotta. Il problema è che manca la maggioranza in parlamento per agire in tal senso: dopo l'ennesimo voto di sfiducia che ha fatto cadere il governo del primo ministro François Bayrou, quale direzione prenderà ora il Paese? Una cosa è certa: ci aspettano acque agitate. Anche prima dell'ultima crisi, gli spread tra i titoli governativi francesi e quelli tedeschi di pari scadenza si erano ampliati, superando persino quelli dei titoli greci e avvicinandosi a quelli dell'Italia (cfr. Grafico della settimana).

Situazione globale del debito e aumento dei rendimenti
Tra l'altro, il debito pubblico statunitense in rapporto al PIL ha raggiunto il 100% e per i prossimi anni si prevede un'ulteriore crescita. Allo stesso tempo, i rendimenti dei titoli governativi a lunga scadenza stanno aumentando nei principali segmenti obbligazionari: i gilt (titoli governativi britannici) a 30 anni hanno già superato la soglia del 5% e le obbligazioni a 30 anni emesse dagli USA non sono poi così distanti. Anche il Giappone ha registrato un aumento dei rendimenti. Tutto questo rappresenta un chiaro segnale d'allarme che mette sotto pressione i governi - in primis il Giappone, dato un rapporto debito/PIL pari al 235%. Tuttavia, con le dimissioni del primo ministro giapponese Shigeru Ishiba, si prospetta una politica fiscale più espansiva nel Paese del Sol Levante. Ci si aspetta che il nuovo governo introduca un pacchetto di stimoli per combattere l'inflazione. In aggiunta ai sussidi in denaro proposti dal Partito Liberal Democratico (LDP) per far fronte all'aumento dei prezzi, il pacchetto dovrebbe includere iniziative di spesa mirate, tra cui un maggiore sostegno all'infanzia.
Le prossime mosse delle banche centrali
Nel frattempo, la politica monetaria continua a seguire il proprio corso. Dopo la riunione della Banca Centrale Europea (BCE) tenutasi questa settimana, la prossima sarà teatro delle riunioni della Federal Reserve statunitense (Fed, mercoledì), della Banca d'Inghilterra (BoE, giovedì) e della Banca del Giappone (BoJ, venerdì). A luglio la BCE ha sospeso il ciclo di riduzione dei tassi di interesse; nel frattempo, l'inflazione si è stabilizzata intorno al tasso obiettivo della banca centrale e la crescita economica si mantiene solida. È probabile che né la BoE né la BoJ interverranno con dei tagli ai tassi di interesse la prossima settimana. Da un lato, alla BoE il taglio di agosto è passato con una maggioranza risicata e gli ultimi dati sull'inflazione non giustificano un'ulteriore riduzione; dall'altro, la BoJ si trova ad affrontare una situazione più delicata, poiché l'inflazione è uno dei principali fattori di incertezza politica in Giappone. Detto ciò, l'eventualità di un aumento è assai improbabile: sebbene possa contribuire a rafforzare lo yen e a tenere sotto controllo le aspettative di inflazione, un simile intervento potrebbe essere interpretato come un ulteriore segnale di nervosismo in un contesto già volatile. E infine c'è la Fed. Nelle ultime riunioni la banca centrale statunitense ha mostrato un atteggiamento esitante, contrastando le aspettative politiche di utilizzare la leva dei tassi d'interesse per ridurre il costo del debito pubblico - una mossa che potrebbe facilmente rivelarsi controproducente in presenza di crescenti aspettative inflazionistiche. Detto questo, dopo l'ultimo deludente rapporto sul mercato del lavoro, non ci sono grandi ostacoli a un possibile taglio dei tassi mercoledì.
Dati economici in arrivo e focus sulla Fed
Considerando le tre riunioni delle banche centrali, il calendario dei prossimi dati economici appare piuttosto leggero: lunedì sono stati pubblicati i dati sulla produzione manufatturiera cinese, mentre martedì è stato il turno della produzione industriale europea e dell'indice ZEW sul clima imprenditoriale in Germania. Giovedì seguiranno le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti. Quest'ultimo dato sarà probabilmente al centro dell'attenzione, soprattutto dopo il recente indebolimento del mercato del lavoro negli Stati Uniti, anche perché il mandato della Fed include sia la stabilità dei prezzi che la piena occupazione. In sintesi, la prossima settimana sarà dominata dalla politica monetaria, anche se i mercati hanno già scontato la mossa della Fed sui tassi di interesse.
Hans-Jörg Naumer, Director, Global Capital Markets & Thematic Research.