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25/06/2025

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Lavoro: sotto la superficie, gli stereotipi persistono

Vecchione (Tack TMI Italy): i lavoratori considerano valori fondamentali l'integrità, la trasparenza, la collaborazione e il lavoro di squadra. Inclusione ed equità sono una necessità

L'immagine che spesso associamo a un top manager è quella di un uomo caucasico di mezza età. Il magazziniere? Un giovane, forse straniero. La segretaria? Una donna giovane. E chi lavora in amministrazione? Spesso una signora più senior. Non sono solo pensieri casuali, ma alcune delle risposte più frequenti emerse da test proiettivi, in cui si è chiesto ai partecipanti di abbinare ruoli lavorativi a immagini di persone con caratteristiche diverse. Questi test confermano una realtà scomoda: la presenza e la persistenza di stereotipi legati alla diversità (età, genere, etnia) nel mondo del lavoro. Questi risultati provengono dalla ricerca "Oltre le diversità: percezioni, esperienze e bisogni", promossa da Tack TMI Italy, parte di Gi Group Holding. Lo studio ha coinvolto un campione di 1.500 lavoratori in Italia con un obiettivo chiaro: spingere verso un cambiamento reale e duraturo nel modo in cui le aziende affrontano l'inclusione.

Sembra quindi che i pregiudizi e le discriminazioni sul lavoro siano ancora molto diffusi. E nonostante si parli tanto di diversità e inclusione (DEI), le azioni concrete per contrastarli, come politiche mirate e formazione, non sembrano ancora sufficienti o capillari. I numeri della ricerca sono piuttosto eloquenti. Nove lavoratori italiani su dieci segnalano la presenza di episodi di discriminazione nel loro ambiente professionale. Questi episodi si basano su etnia, genere, orientamento sessuale, disabilità, età, aspetto fisico o altre caratteristiche personali, come il credo religioso. E un significativo 28% dichiara di aver vissuto tali episodi in prima persona.

Comunque, lo studio evidenzia anche una forte sensazione tra i lavoratori: le aziende parlano molto di DEI, ma fanno poco. C'è uno scollamento evidente tra le intenzioni dichiarate e la realtà vissuta. Il 64% degli intervistati si riconosce pienamente nell'affermazione: tante aziende parlano di programmi di diversità e inclusione, ma non fanno niente per i lavoratori come me. Solo il 37% sostiene che nella propria azienda esistano strumenti efficaci per gestire le tensioni legate alle diversità. Questo accade in un contesto lavorativo in rapida evoluzione. La soddisfazione non dipende più solo da fattori classici come lo stipendio, l'equilibrio tra lavoro e vita privata (Work-Life Balance) o le possibilità di carriera. Sentirsi riconosciuti, accolti e rispettati nella propria unicità è diventato un aspetto fondamentale. Un forte allineamento con i valori aziendali è cruciale per ben il 93% del campione.

Irene Vecchione, Amministratore Delegato di Tack TMI Italy, spiega come questi temi siano ormai una necessità imprescindibile. "Quando i lavoratori considerano valori fondamentali l'integrità, la trasparenza, la collaborazione e il lavoro di squadra, inclusione ed equità non possono più essere viste come un extra, ma diventano una vera e propria necessità", afferma. Le imprese devono impegnarsi seriamente, sia a livello culturale che gestionale. Le discriminazioni, evidenti o nascoste, esistono ancora. Aspetto fisico, somiglianza con persone che conosciamo o vicinanza culturale influenzano tuttora i rapporti professionali. Questo succede anche per l'"effetto alone", un meccanismo mentale che ci spinge a giudicare una persona in modo generale (positivo o negativo) partendo da un singolo tratto. Per cambiare davvero, è essenziale lavorare su questi automatismi e capire dove migliorare le politiche di Diversità, Equità e Inclusione. Serve formazione e coinvolgimento a tutti i livelli aziendali per costruire una cultura più giusta, motivante e capace di attrarre e trattenere i talenti migliori. Analizzando le cause percepite dei pregiudizi, l'etnia si conferma al primo posto (62%). Seguono l'orientamento sessuale (49%) e la disabilità (48%). In particolare, il 57% del campione concorda sul fatto che una persona disabile sia svantaggiata in azienda.


Le discriminazioni toccano in modo significativo i lavoratori nati fuori dall'Italia: tre su quattro le hanno subite. Sul fronte etnico, emergono anche differenze regionali e settoriali. Nel Nord Est e nel manifatturiero, per esempio, gli stereotipi verso i lavoratori stranieri, visti a volte come meno collaborativi, appaiono più radicati. Quando si indaga sui motivi specifici delle discriminazioni vissute in prima persona, il quadro è leggermente differente. Le cause più frequenti sono il genere (14%), l'età (14%) e l'aspetto fisico (10%). Sono soprattutto donne e lavoratori sotto i 35 anni a riportare queste esperienze. La formazione è uno strumento cruciale per promuovere un ambiente di lavoro inclusivo, ma la sua diffusione varia molto in base alle dimensioni dell'azienda. Solo il 30% delle imprese con meno di 50 dipendenti offre strumenti per gestire le diversità. La percentuale sale al 41% nelle medie (50-500 dipendenti) e raggiunge il 47% nelle grandi organizzazioni. Nonostante questa lacuna, c'è una certa fiducia generale nella capacità delle aziende di gestire potenziali conflitti. Le dinamiche tra diverse generazioni e la diversità di genere sono viste come le criticità principali da affrontare.


La partecipazione a iniziative di sensibilizzazione sulla diversità è ancora bassa: solo il 21% dei lavoratori ha preso parte a tali attività. Le aree in cui si sente maggiormente il bisogno di formazione sono l'empatia - ovvero la capacità di comprendere profondamente gli altri, anche senza aver vissuto le stesse esperienze - e la capacità di riconoscere e gestire i propri pregiudizi e stereotipi. Vecchione sottolinea il legame tra le richieste dei lavoratori e le loro esperienze personali. Spesso, le domande di attenzione o cambiamento nascono dalle discriminazioni che toccano più direttamente la loro identità o storia. Ma, come ribadisce: "non basta solo sensibilizzare: bisogna cambiare davvero la cultura delle organizzazioni, per creare ambienti di lavoro più giusti, dove le persone stiano meglio e siano più coinvolte". La sfida è chiara: la diversità deve diventare una realtà tangibile nei luoghi di lavoro, riconoscendone sia il valore umano sia il potenziale per la crescita e l'innovazione.


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