Dazi USA: per l'export italiano a rischio fino a 23,5 miliardi di euro
Vio (Adacta Tax & Legal): di fronte alle crescenti difficoltà vanno valutati nuovi approcci, come consolidare la dimensione e valutare aggregazioni
L'ipotesi che gli Stati Uniti possano imporre dazi elevati sulle merci provenienti dall'Unione Europea genera forte preoccupazione tra le imprese. In Italia, le zone più esposte a possibili ripercussioni negative sono le grandi regioni esportatrici: la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Veneto e il Piemonte. Questo allarme ha spinto a cercare di quantificare l'impatto reale.
Una ricerca condotta da Adacta Tax & Legal, società di consulenza specializzata, ha analizzato cosa potrebbe succedere all'export manifatturiero italiano e, in particolare, a quello delle quattro regioni più industrializzate, nel caso in cui gli Stati Uniti introducessero nuove tariffe doganali.

Lo studio ha considerato due scenari possibili per i dazi: uno al 20%, ritenuto più probabile, e uno al 50%, l'ipotesi più estrema avanzata in passato. Per l'analisi, sono stati incrociati i dati ISTAT sull'export manifatturiero del 2024 con i risultati di uno studio per il Parlamento Europeo che esamina la sensibilità dei consumatori statunitensi al prezzo, un concetto noto come elasticità della domanda. In pratica, si è cercato di capire quanto diminuirebbero le vendite di un prodotto americano se il suo prezzo aumentasse a causa del dazio.
Nel 2024, l'export manifatturiero complessivo dell'Italia verso gli Stati Uniti ha raggiunto i 64,2 miliardi di euro. Le quattro regioni considerate rappresentano una parte significativa di questo valore, con 36,17 miliardi di euro, circa il 56% del totale. Queste cifre offrono la base su cui calcolare i possibili danni.
Le esportazioni manifatturiere verso gli USA nel 2024 si distribuiscono così tra le regioni:
- Lombardia: 13,6 miliardi di euro;
- Emilia-Romagna: 10,4 miliardi di euro;
- Veneto: 7,1 miliardi di euro;
- Piemonte: 5 miliardi di euro.
Con un dazio del 20%, l'Italia potrebbe vedere una riduzione dell'export di circa 9,4 miliardi di euro, pari a un calo del 14,66% rispetto al 2024. Per le quattro regioni più industrializzate, questo scenario si tradurrebbe in una perdita stimata di 4,95 miliardi di euro, corrispondente a una flessione del 13,7%.
Se invece si concretizzasse l'ipotesi del 50%, l'impatto sull'export italiano sarebbe decisamente più pesante: una diminuzione del 36,65%, ovvero 23,5 miliardi di euro in meno. Per Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte insieme, la contrazione media stimata sarebbe del 34,19%, con una perdita complessiva che toccherebbe i 12,37 miliardi di euro.
Entrando nel dettaglio per ciascuna regione, le stime mostrano differenze significative in base allo scenario:
a) Con un dazio del 20%:
- La Lombardia potrebbe perdere 1,97 miliardi di euro;
- L'Emilia-Romagna, 1,27 miliardi;
- Il Veneto, 955 milioni;
- Il Piemonte, 735 milioni.
b) Nello scenario più severo, con un dazio del 50%:
- La Lombardia vedrebbe un calo di 4,92 miliardi di euro;
- L'Emilia-Romagna, di 3,17 miliardi;
- Il Veneto, di 2,39 miliardi;
- Il Piemonte, di 1,84 miliardi.
Come ha sottolineato Tommaso Vio, presidente di Adacta Tax & Legal, "Si tratta di un ipotetico danno che si aggiungerebbe alle attuali difficoltà delle imprese italiane, che già nel 2024 hanno perso più di 3 punti percentuali di export rispetto al 2023. Come Adacta Tax & Legal ci troviamo ogni giorno di fronte a problematiche legate alle esportazioni e il tema dei dazi è estremamente sentito dalle aziende che seguiamo. In questo scenario geopolitico particolarmente incerto, di fronte alle crescenti difficoltà vanno valutati nuovi approcci: consolidare la dimensione e valutare aggregazioni potrebbero essere strategie utili a rafforzare la propria posizione sul mercato e affrontare il futuro con maggiore solidità. La tendenza è già in atto, prova ne siano le numerose operazioni di M&A che abbiamo portato a termine negli ultimi mesi».
Rafforzare la propria dimensione, magari attraverso fusioni o acquisizioni, potrebbe essere un modo per affrontare il futuro con maggiore solidità sul mercato globale.
L'analisi ha anche evidenziato che l'impatto non sarebbe uguale per tutti i settori produttivi. Attività legate al lusso, come l'automotive in Emilia-Romagna o l'oro e la gioielleria nel vicentino, potrebbero subire meno perdite in proporzione, poiché i consumatori che acquistano questi beni sono meno sensibili alle variazioni di prezzo. Al contrario, il settore agroalimentare, importante per molte regioni, potrebbe risentire maggiormente dei rincari, spingendo i consumatori a orientarsi verso alternative più economiche. C'è anche un altro fattore da considerare: gli intermediari commerciali, come grossisti e rivenditori negli Stati Uniti. Questi operatori tendono ad assorbire una parte del dazio, circa un quarto, per evitare un calo eccessivo delle vendite, ma la maggior parte (circa i tre quarti) finisce comunque per essere ribaltata sul prezzo finale pagato dal consumatore. Dove i consumatori sono molto attenti al prezzo, gli intermediari sono più propensi a ridurre i propri margini per non perdere clienti.
È importante notare che lo studio non ha considerato alcuni fattori che potrebbero mitigare o alterare questi effetti.
«Tenendo conto dell'elasticità della domanda - specifica Fabio Bonato, responsabile della Service Line (divisione) "Special Situation" di Adacta Tax & Legal - il nostro studio ipotizza che per i beni non del lusso nel breve periodo il rapporto tra percentuale del dazio e aumento del prezzo finale è sostanzialmente di 1 a 1, significa che a fronte del dazio al 20% ci potrebbe essere una perdita di vendite del 20%, effetto però in parte mitigato dalla riduzione dei profitti degli intermediari del commercio, per evitare altrimenti un calo così importante di vendite anche per loro. Nel lungo periodo, purtroppo, la sensibilità del consumatore potrebbe poi salire, poiché il consumatore tende a cambiare abitudini d'acquisto e a non acquistare più un determinato prodotto. Non abbiamo, però, considerato i possibili effetti di mitigazione derivanti dalle scelte di politica monetaria e dell'andamento dei cambi valutari. Molto, infatti, dipenderà dall'esito delle negoziazioni che verranno portate avanti dall'Unione Europea con l'amministrazione Trump, le quali potrebbero contenere l'effetto negativo dei dazi».
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