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21/05/2025

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Lavoratori italiani: il Grande distacco, l'ascesa dell'AI e la voglia di stabilità

Se il benessere resta la bussola principale nella scelta di un nuovo lavoro, tornano prepotentemente in primo piano criteri più consolidati nel tempo, come le tutele contrattuali, una retribuzione adeguata e i benefit aziendali

In Italia, il 2025 rivela un quadro preoccupante per i lavoratori. La soddisfazione è bassa e soltanto un risicato 17% si dichiara pienamente coinvolto nel proprio impiego. Ancor meno, appena il 10%, percepisce un benessere completo, toccando le dimensioni fisica, relazionale e mentale. Molti hanno cambiato lavoro di recente (11%) o ci pensano seriamente (30% entro 18 mesi). Però l'incertezza economica, l'inflazione persistente e il rischio di recessione rendono il passo del cambiamento più arduo. Questa situazione intrappola i dipendenti, generando un senso di immobilità e disconnessione profonda. È l'alba del "Grande distacco", un fenomeno in cui la rassegnazione all'insoddisfazione prende il sopravvento, smorzando energie e ambizioni. Si assiste a un incremento dei "quiet quitter", coloro che, pur mantenendo il posto, si limitano a svolgere il minimo indispensabile, privi di reale coinvolgimento emotivo. Rappresentano una fetta non indifferente: uno su sette, il 14% del totale. Tra coloro che cullano l'idea di cambiare impiego, la percentuale di chi passa ai fatti, cercando attivamente un nuovo posto tramite colloqui, è calata: dal 58% al 52%. Mentre la percentuale di chi si pente del cambio è diminuita drasticamente (dal 56% al 20%), resta un dato significativo: la maggior parte di coloro che hanno intrapreso una nuova strada professionale non ha trovato la piena soddisfazione. Parallelamente a questo stato di insoddisfazione diffusa, emerge una ricerca crescente di sicurezza e protezione economica. Se il benessere resta la bussola principale nella scelta di un nuovo lavoro, tornano prepotentemente in primo piano criteri più consolidati nel tempo, come le tutele contrattuali, una retribuzione adeguata e i benefit aziendali. A testimonianza di questa tendenza, i servizi di wellbeing più richiesti dai dipendenti sono oggi l'assistenza sanitaria integrativa e i buoni pasto.

In questo scenario complesso, l'AI si inserisce con potenziale di aumentare produttività, engagement e benessere. Un significativo 45% delle aziende ha già destinato risorse all'intelligenza artificiale a supporto dei processi HR, e il 60% la utilizza per potenziare la produttività dei singoli dipendenti. Eppure, le Direzioni HR mostrano ancora incertezze nel gestire questa trasformazione. Capire come gli strumenti vengono effettivamente utilizzati all'interno dell'organizzazione rappresenta una sfida. Nell'ultimo anno, per esempio, un terzo dei lavoratori, il 32%, ha integrato l'AI nelle proprie attività. Spesso, però, si tratta di soluzioni personali o gratuite reperite online, non quelle messe a disposizione dall'azienda. In effetti, solo una su sette aziende si dedica all'analisi dell'impatto che i sistemi di intelligenza artificiale possono avere sulle mansioni quotidiane. Questi sono alcuni dei risultati emersi dalla ricerca condotta dall'Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

In media, coloro che integrano strumenti di AI nel proprio flusso di lavoro li impiegano per circa il 20% delle attività complessive. Questo si traduce in un notevole risparmio di tempo, stimato nel 26%, pari a circa 30 minuti ogni giorno. "Tra i lavoratori italiani si rileva una crescente frustrazione, attribuibile alla percezione di instabilità del mercato del lavoro, accentuata da conflitti e crisi globali e da retribuzioni spesso inadeguate al costo della vita", afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio HR Innovation Practice. "Così, a fianco al benessere e all'equilibrio, che continuano a essere le priorità delle persone, si sta affiancando una crescente ricerca di sicurezza e protezione. In questo contesto, la sfida principale per le Direzioni HR nel 2025 è lavorare sul senso e il significato del lavoro, cercando di ovviare al senso di precarietà crescente. In un'epoca di grande trasformazione, tra ricambio generazionale e rivoluzione tecnologica, l'HR deve tracciare la rotta del cambiamento delle organizzazioni, che oggi passa da AI, nuove strategie e nuove competenze".

"Le aziende italiane stanno investendo in AI, ma le Direzioni HR faticano ancora a governare questa trasformazione - spiega Martina Mauri, Direttrice dell'Osservatorio HR Innovation Practice -, a cominciare da una scarsa comprensione di come i lavoratori la stiano già utilizzando nelle loro attività, con il rischio di assistere alla diffusione di nuovi strumenti e comportamenti senza una chiara strategia e senza capacità di guidarne gli impatti. L'intelligenza artificiale, da semplice strumento per migliorare efficienza e qualità del lavoro dei singoli, deve essere concepito come strumento strategico per riprogettare il lavoro, automatizzando attività, creando efficienza, ripensando ruoli, competenze e modelli per liberare tempo ed energie, con minori carichi di lavoro e mansioni più attrattive e sostenibili".


L'AI in ambito HR

Le aziende italiane stanno investendo in intelligenza artificiale in ambito lavorativo, manca però un approccio sistemico nell'adozione, dall'analisi dei rischi alle policy, alle attività di formazione, al monitoraggio, fino all'analisi dell'impatto. E così, l'85% di chi utilizza l'AI al lavoro adotta strumenti personali o gratuiti reperibili online, anche se l'azienda fornisce strumenti di AI in 2 casi su 3: un'adozione non regolamentata con rischi legali, etici e di sicurezza, che impedisce di monitorare l'evoluzione e comprendere pienamente gli impatti. Solo il 14% delle aziende effettua un'analisi per comprendere l'impatto dei sistemi AI sulle attività lavorative.


Cresce l'utilizzo da parte dei lavoratori: il 32% ha utilizzato soluzioni di AI nell'ultimo anno (+23%), percentuale che sale al 43% per i white collar e al 54% per la GenZ. Ma spesso le persone non colgono ancora appieno le potenzialità della tecnologia, limitandosi a usarla come un semplice motore di ricerca: l'attività principale oggi è la ricerca di informazioni. La maggior parte dei lavoratori che usa l'AI rileva miglioramenti di performance e produttività (91%), l'86% miglioramenti della qualità del lavoro e sempre l'86% della capacità di apprendimento, mentre tra i rischi rilevati spicca il timore di indebolire le relazioni interpersonali (81%). Il 32% dei lavoratori è preoccupato dell'impatto sul proprio lavoro nei prossimi 3-5 anni, timori legati principalmente all'aumento della precarietà e all'impatto sulle competenze. In misura minoritaria, c'è chi intravede l'intento di limitare le assunzioni, ridurre l'organico o intensificare il controllo sui dipendenti.


Il 45% delle organizzazioni dichiara di aver investito in soluzioni di AI nell'ultimo anno a supporto dei processi HR. L'area su cui sono più diffusi questi strumenti è quella della Talent Attraction. Tra le soluzioni più adottate in questo processo spiccano per presenza i software per ottimizzare la comunicazione a potenziali candidati e/ o nella scrittura degli annunci, seguiti da strumenti per analizzare i CV ricevuti e classificarli in base alla posizione aperta.

Il talent shortage


Un'azienda su due prevede una crescita di organico nel 2025, ma ben il 78% delle organizzazioni fatica ad assumere nuovo personale e, in circa la metà dei casi, la difficoltà è in crescita nell'ultimo anno. L'aspetto più critico è la difficoltà a trovare candidati con le competenze tecniche adeguate. Circa 1 nuova posizione su 4 riguarda professioni digitali: i profili più ricercati sono quelli specializzati in AI, Big Data Management & Data Analytics e Cybersecurity & Data Protection. Su tutti e tre è aumentata l'acquisizione tramite sviluppo interno a discapito della ricerca sul mercato esterno.


Il Talent Shortage rende ancora più centrale la capacità dell'organizzazione di sviluppare nuove competenze. Già oggi il 10% dei lavoratori deve essere riqualificato perché le competenze per svolgere il proprio lavoro non sono adeguate o sono a rischio obsolescenza entro 3-5 anni. E il 32% dei lavoratori è preoccupato che le sue competenze diventino obsolete nel breve futuro o di avere difficoltà a ricollocarsi. Ma più di 1 persona su 2 ritiene anche di avere competenze che potrebbero essere utili in altri ruoli, per cui attualmente non è presa in considerazione. Oggi, un'organizzazione su tre, non solo non effettua ancora un'analisi per identificare le competenze necessarie nel breve-medio termine (3-5 anni), ma nemmeno un'assessment delle competenze attuali.


La Skill-based Organization

Nelle Skill-based Organization le scelte di crescita, allocazione delle responsabilità e organizzazione del lavoro sono basate sulle competenze delle persone, piuttosto che su fattori tradizionali come la posizione gerarchica, l'appartenenza funzionale o l'anzianità. Un approccio che si fonda sulla "de-costruzione del lavoro", in cui le competenze dei dipendenti vengono abbinate dinamicamente a compiti o progetti specifici anziché a ruoli fissi e su un'analisi strategica delle competenze presenti nell'organizzazione, con una struttura più orizzontale e basata su team auto-gestiti. In queste organizzazioni, oltre a una migliore valorizzazione delle competenze, la percentuale di lavoratori che "sta bene" sale dal 10% al 18% e gli intender e dimissionari passano dal 41% del campione al 36%. Ma il vero dato sorprendente è la percentuale di lavoratori pienamente coinvolti e motivati che balza dal 17% al 42%.


La GenZ

Per l'82% delle organizzazioni italiane è prioritario attrarre e trattenere le nuove generazioni. Comprendere e integrare i loro bisogni emergenti è una necessità strategica. I più giovani incarnano in modo emblematico le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro. I temi più rilevanti per la GenZ sono il benessere e la ricerca continua di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Il lavoro è solo una delle possibili fonti di auto-realizzazione e soddisfazione personale, una componente della vita che, pur importante, non può essere totalizzante. Inoltre, il salario non è più considerato un obiettivo e nemmeno come un mezzo per raggiungere uno status, ma come una risorsa necessaria. I servizi assistenziali e di welfare forniti dall'azienda, invece, vengono percepiti come essenziali per sopperire alle mancanze di uno Stato percepito meno presente e in grado di garantire sicurezza e protezione.


Le politiche DEI

L'amministrazione USA ha avviato una campagna senza precedenti contro le politiche di diversità, equità e inclusione. La richiesta è chiara: le aziende che forniscono prodotti o servizi al governo statunitense dovrebbero adattarsi al cambio di rotta, anche se hanno sede in Europa. Ad oggi non sembrano esserci ancora effetti in Italia: solo il 3% delle aziende dichiara di aver ridotto gli investimenti sulle tematiche DEI, a fronte di un 34% che ha in programma per il 2025 di lavorarci in continuità con lo scorso anno e il 23% che vuole ampliare le iniziative per affrontare il tema nel modo più esaustivo possibile.


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