Fabio Spoletini (ServiceNow): la trasformazione digitale in Italia accelera
L'intelligenza artificiale non è più un tabù per le aziende, ma una questione di competitività
Quando si discute di trasformazione digitale, emerge un tema cruciale: la gestione di questo cambiamento e delle tecnologie che utilizziamo. È un processo che impatta tutti i settori e che oggi, complice l'arrivo di nuove tecnologie come l'intelligenza artificiale e le tensioni geopolitiche, richiede un'accelerazione senza precedenti. Per esplorare a fondo questo scenario, abbiamo incontrato Fabio Spoletini, Group VP EMEA South di ServiceNow, il cui ruolo e le cui responsabilità vanno ben oltre il contesto italiano, offrendo una prospettiva allargata su quanto sta accadendo. (Qui trovate la video intervista).
Che cosa sta vedendo in questa fase storica?
Innanzitutto, vediamo un po' di pressione su tutti i settori. Le aziende italiane, in particolare, sono sotto una forte pressione per cambiare, per digitalizzarsi. Diciamo che il processo di digitalizzazione nel corso degli anni non è avvenuto proprio con una velocità attesa. Non posso dire che abbiamo un enorme ritardo, però sicuramente nel paese abbiamo una serie di problemi sulle competenze digitali, sul tema dell'artificial intelligence. C'è una pressione importante sul settore manifatturiero, sul settore bancario - nonostante i benefici degli alti tassi di interesse, ci sono indicatori che richiedono attenzione - e vediamo il settore pubblico che cerca di incrementare il livello di digitalizzazione. In questo contesto, le tensioni geopolitiche creano un'ulteriore pressione. Questo deve essere uno stimolo al cambiamento importante, una sveglia. Non possiamo rimandare nel fare quello che è necessario e quindi veramente attraversare con una certa velocità la trasformazione digitale vera e propria.

Ha elencato settori che devono accelerare, ma con l'arrivo dell'intelligenza artificiale, e in particolare la generativa, le sfide sembrano aumentare. Che cosa sta vedendo sul fronte AI?
Penso che sul tema dell'artificial intelligence, in 12 mesi, ho visto una grande accelerazione. Ciò che era tabù 12 mesi fa non lo è più. Sicuramente l'artificial intelligence ha un impatto importante sulle aziende, e c'è stato un cambio di passo. Per competere in un mercato globale sotto pressione non si può non andare avanti. Siccome le regole del mercato sono quelle di un'accelerazione sull'artificial intelligence sia delle aziende cinesi che di quelle americane, è evidente che nel mezzo noi dobbiamo allo stesso tempo accelerare. Siamo degli user, le nostre aziende devono trovare il modo di accelerare senza reinventare la ruota. Dobbiamo adottare le soluzioni offerte dal mercato per focalizzarci sugli outcome. Non è semplice, c'è tanta cultura da fare e tanta paura per l'impatto sulle organizzazioni, però è una strada senza ritorno, a senso unico. Bisogna farlo con la creatività italiana per cogliere l'opportunità di rilanciare le nostre aziende. A mio avviso, mancano le competenze, non dobbiamo focalizzarci nell'R&D sull'artificial intelligence, ma accelerare con le soluzioni che il mercato offre.
In questo contesto, qual è il ruolo di ServiceNow e come affrontate la complessità richiesta dalle aziende?
Il ruolo di ServiceNow è molto chiaro e ben identificato: accelerare la fase di digitalizzazione, creare automazione nei processi di business. Questo permette poi di fare leva sull'artificial intelligence. Il valore di ServiceNow è proprio quello di permettere, con la creazione di questi workflow di business digitali, di beneficiare dell'artificial intelligence, sia attraverso le soluzioni che possiamo offrire noi, sia attraverso soluzioni di terze parti. A mio avviso, è un momento molto positivo per ServiceNow, soprattutto in Italia, le cose vanno molto bene perché c'è la comprensione del vantaggio competitivo che possiamo creare. Abbiamo visto la wave del cloud, ci sono voluti anni perché le aziende si convincessero a fare leva sul cloud per la trasformazione. Sull'artificial intelligence, questo processo non richiederà quei tempi lunghi, sarà molto veloce. In un anno abbiamo visto questa grande accelerazione. Abbiamo già clienti che utilizzano soluzioni di AI nella logica dell'efficienza e sempre di più ci sposteremo nelle aree che andranno a toccare i loro clienti, i clienti dei nostri clienti. È un fenomeno che sta avvenendo con una certa velocità e non vedo più barriere. Nessuno si pone più il caso etico o altro, è una questione di competitività e di sopravvivenza.
Parlando di portare servizi ai clienti dei vostri clienti, emerge un tema di governance cruciale. Voi siete molto focalizzati su questo aspetto?
Sì, la governance noi la chiamiamo un po' la "control tower" dell'AI. È importantissima per ragioni di sicurezza, privacy, rispetto delle regole, per tanti fattori. Oggi ci muoviamo nel mondo dell'Agentic, dei digital workers. Teoricamente, è come se nella nostra organizzazione avessimo dei digital workers. Attraverso la struttura degli agenti andiamo a identificare e a risolvere problemi in maniera autonoma. Per fare tutto questo, abbiamo bisogno di una governance ben precisa, capire e vedere ciò che accade attraverso la leva dell'artificial intelligence. Questo è un tema estremamente importante, tocca vari punti, sicuramente anche la sicurezza. Dobbiamo fare leva su queste nuove tecnologie, ma dobbiamo anche avere un uso responsabile e poterle controllare. Il tema della governance a mio avviso rimane uno dei fattori critici di successo di queste iniziative, perché non posso pensare che in un'azienda complessa si faccia leva sull'AI senza avere un grosso punto di controllo, di governance e comprensione di quello che accade. Questo è un tema assolutamente importante.

Siamo entrati nell'epoca degli agenti, dei "digital worker", che cambiano le prospettive aziendali. Avendo una visione che va oltre l'Italia, vedi differenze significative tra le varie aree geografiche che segue?
Vedo delle grandi differenze. Gestisco l'area del Sud EMEA, fatta da due grandi regioni: la parte europea (Francia, Spagna, Italia) e il Medio Oriente (Arabia Saudita e UAE). È evidente che ci sono differenze enormi. Nella parte del Middle East si punta tutto sull'AI già da tempo con investimenti importanti e con una logica di country dove l'AI diventa il centro dell'economia del paese, fortemente supportato e sponsorizzato dal governo. Ci muoviamo poi nella parte europea, in cui abbiamo una situazione ancora un po' confusa. Le aziende oggi devono fare un po' da sé e quindi hanno maggiori difficoltà. Però sicuramente il mondo degli agenti cambierà pesantemente le organizzazioni. Il fattore umano rimane ancora critico perché all'artificial intelligence bisogna aggiungere l'empatia, lo human touch. Ne vedremo una trasformazione importante delle aziende. Sicuramente questo porterà all'eliminazione di alcuni lavori, ci sarà un prezzo da pagare. A mio avviso non è tutto prevedibile, è una strada a senso unico per una questione di sopravvivenza. Ci saranno conseguenze, dobbiamo focalizzarci sulle opportunità e crederci, andare avanti e creare quello che è il nostro fattore di successo come nazione, come spirito italiano. Abbiamo sempre basato sulla nostra creatività e originalità il nostro fattore critico di successo, e anche in questo contesto dobbiamo accelerare e dare spazio a quello che sappiamo far bene, il Made in Italy.
Lei si confronta spesso con leader aziendali su come affrontare queste sfide. Che approccio sta vedendo da parte loro: apertura, chiusura, timore?
La velocità di cambiamento dell'approccio è notevole. 6-12 mesi fa si faceva difficoltà a parlare di questo tema, le aziende non erano pronte, erano perlopiù spaventate. Oggi il tema è assolutamente attuale. Non c'è un piano industriale, non c'è un C-level che oggi non abbia capito che questo è un punto di forza e va sviluppato. Ho visto anche, in questi ultimi mesi, situazioni in cui nelle grandi organizzazioni complesse si è avuto un grande accentramento del tema AI per capire come prenderlo a livello aziendale, come cavalcare l'onda, come organizzarsi, implementare la governance. Oggi invece vedo una maggiore esigenza di implementare quanto prima soluzioni, quindi il time to market sta diventando estremamente critico. C'è stata una fase di digestione, oggi c'è una fase di accelerazione e di velocità. Questa cosa è abbastanza diffusa. Alcuni timori sono sorpassati, alcuni freni eliminati. Vedrai che in tutti i piani strategici ritrovi il capitolo dell'AI con un capitolo importante. Oggi non c'è più questo timore. A mio avviso, mentre la transizione al cloud è durata un decennio, credo che fra 18 mesi avremo veramente digital worker nelle organizzazioni.
Nel nostro paese abbiamo un tema di competenze...
Il tema delle competenze c'è, c'è uno shortage a livello globale, non è solo un problema italiano. Noi lo vediamo di più perché abbiamo poche grosse aziende che riescono a creare l'indotto e a trainare il resto del paese. Sull'artificial intelligence, la prima cosa a mio avviso è la consapevolezza della necessità di andare in quella direzione. La seconda cosa è il time to market: non stare a fare troppe ideologie, ma utilizzare le soluzioni presenti sul mercato che portano i maggiori benefici. Il terzo aspetto è eventualmente sviluppare soluzioni R&D sull'artificial intelligence, veramente sulla parte core delle aziende. Ma in questo momento bisogna accelerare, prendere quello che il mercato offre, cavalcarlo e creare in tempi brevi efficienza, per poter poi reinvestire su ciò che corre. Bisogna iniziare in fretta e focalizzarci nel portare a casa i risultati quanto prima. Vedo che stiamo vivendo un processo fatto in tre step: la digestione è avvenuta, bisogna implementare le soluzioni che sono un po' i "low hanging fruit", ciò che mi porta efficienza nel brevissimo periodo, e pensare poi a come implementare soluzioni su quello che è il mio core business.