L'Europa e l'innovazione: un potenziale inespresso?
Bricchi (Brian and Partners): l'Europa è un freno all'innovazione a causa di regole complesse e una cultura della gestione più che del cambiamento
Abbiamo intervistato Andrea Bricchi, CEO di Brian and Partners, società oggi tra i protagonisti italiani nell'ecosistema delle CER e della valutazione delle reti gas. Bricchi, ingegnere ed economista, è stato tra i primi a parlare di idrogeno green, ormai 5 anni fa. Molto attivo da sempre nel ramo energia e nella mobilità ferroviaria, lo abbiamo sentito per capire come sta cambiando la percezione dell'Europa dal punto di vista di chi fa impresa e innovazione sul campo.
Per chi si occupa di innovazione, cosa rappresenta oggi l'Europa?
Un grande potenziale inespresso. L'Europa dovrebbe essere un moltiplicatore di opportunità, una federazione di sinergie complementari. Ma questa è solo teoria. Gli europei sono divisi da sempre, difficilmente si potranno unire davvero. E infatti l'Europa, la UE, spesso è un freno: regole complesse, processi lenti, una cultura della gestione più che del cambiamento. A questo aggiungerei la principale colpa atavica degli italiani: cercare di sfilarsi dal duro lavoro e dalle responsabilità. Ma attenzione: l'Europa non è solo Bruxelles. È anche fatta di aziende, territori, persone che stanno spingendo forte. Il punto è: chi le ascolta davvero?.

Innovazione: perché è una parola difficile per i nostri territori?
Perché non è neutra. Tutti parlano di innovazione, sempre, ma tanto per ripetere la lezioncina a pappagallo. Innovare significa cambiare, e cambiare fa paura. In molte realtà italiane - anche produttive - l'innovazione viene ancora percepita come qualcosa che mette a rischio l'equilibrio, invece che come un'occasione per evolvere. Poi si preferisce mantenere lo status quo, piuttosto che rischiare. Serve più fiducia, più esempi concreti, e meno retorica. Perché se continuiamo a trattarla come un rischio, finiremo per subirla dall'esterno.
Cosa manca per innescare un'innovazione attiva?
Connessione vera tra industria, capitale e visione. Oggi ci sono troppe bolle isolate: chi ha le idee, chi ha le risorse, chi ha il know-how? ma non si parlano. Serve anche una cultura del rischio più adulta, che non punisca chi prova. E serve un po' meno burocrazia da bollino e un po' più di libertà controllata per chi vuole costruire.
Quali sono i freni principali all'innovazione?
La paura di perdere il controllo, prima di tutto. E poi un sistema che protegge troppo chi sta fermo, invece di premiare chi si muove. La burocrazia difensiva, le rendite di posizione, e sì - anche le lobby che fanno da tappo. Ma il freno peggiore è culturale: è quella vocina interiore che dice "tanto non ce la facciamo". Ecco, se c'è qualcosa da rompere, è quella vocina lì.
La nuova ondata di dazi e protezionismi in Europa
È la strategia dei deboli, la barzelletta dei populisti, che non cercano soluzioni ma voti alle elezioni. I dazi sembrano difendere le imprese interne, ma spesso servono solo a proteggere la loro lentezza. Non c'è niente di più pericoloso di convincere un settore che può sopravvivere non grazie all'innovazione, ma perché lo Stato tiene fuori i concorrenti. È come mettere una rete attorno alla propria azienda: pensi di difenderti, ma in realtà stai imprigionando l'efficienza, la competitività e la voglia di evolvere. Aumentare i dazi significa aumentare le tasse. E le tasse alte fanno contenti quelli che le impongono e affamano quelli che le subiscono. Oggi, anche in Europa, sembra che molti siano più preoccupati di sembrare "protettivi" che di essere competitivi. Perché a loro interessa solo il consenso elettorale. Se un'economia ha bisogno dei dazi per restare in piedi, forse è il momento di chiedersi cosa non ha funzionato prima.