Imprenditori profeti in patria? In Italia e in provincia è difficile
Bricchi (Brian and Partners): c'è molta differenza tra manager e imprenditore, il mix però è vincente
Questa è un'intervista a un imprenditore e un personaggio che esce dagli schemi. Abbiamo deciso di farla perché in questa fase storica riteniamo sia importante, oltre alla capacità e competenza, anche avere una visione e sapere mettere a terra i progetti.
Dall'intervista, che abbiamo deciso di inserire nella sezione idee del magazine, emerge tutta l'esuberanza, la cultura e le capacità di analisi di chi ha a cuore il Paese, il territorio e l'imprenditorialità, ma è cittadino del mondo e il business oggi non ha confini.
Abbiamo incontrato Andrea Bricchi che da cinque anni guida Brian and Partners, azienda da lui fondata. Il background è impressionante: ingegnere elettronico, con specializzazioni in microelettronica, architetture per le telecomunicazioni, reti elettriche e sistemi MEMS, architetture e reti ferroviarie, imprenditore, manager, esperto in finance e gestione aziendale, contrattualistica internazionale, internazionalizzazione e commercio con l'estero. Oltre a questo, Andrea ama la musica e lo sport.
Qual è l'idea che sta alla base di Brian and partners?
Brian è nata in un periodo molto burrascoso della mia vita professionale e, come spesso accade, arriva da una piccola rivoluzione forzata.
Alla base c'è la convinzione che gran parte degli imprenditori italiani non siano anche bravi manager. L'idea era di aiutarli a crescere in cambio di equity. In pratica una scommessa win win.
Che differenza c'è tra imprenditore e manager.
L'imprenditore è colui che fa impresa, colui che investe capitali suoi per costruire qualcosa che si sviluppi e duri nel tempo, è colui che possiede i campi e compra i semi oggi, per raccogliere i frutti domani. Il manager è colui semina, taglia, gestisce le imprese di altri. Le due figure possono anche coincidere, ma non è per niente scontato. Diciamo che l'imprenditore è Ferrari, il manager è Marchionne. O, se preferite, l'imprenditore è la macchina da corsa, il pilota è il manager.
Ma un manager che diventa imprenditore che cosa porta con sé?
Io sono nato manager. Imprenditore lo sono diventato. Prendiamo proprio il caso di Enzo Ferrari: nasce come pilota e poi sviluppa la sua auto. Io ho studiato da manager, ho avuto maestri e esperienze formative da manager. E soprattutto ho lavorato tantissimo. Poi mi sono trovato a fare l'imprenditore, ma la forma mentis è sempre quella del manager.
Facciamo un passo indietro, ci racconta la Sua storia?
Sono nato a Castel San Giovanni, Piacenza, quarantasei anni fa. I miei genitori mi hanno portato in viaggio in tutto il mondo fin da piccolo, trasmettendomi una mentalità aperta e l'amore per la musica lirica. Mi hanno insegnato molte lingue e penso spesso a loro, chiedendomi se sono ancora fieri di me.
Dove ha studiato?
Principalmente a Piacenza e Pavia. Ho passato lunghi periodi a New York e Barcellona al liceo, e a Boston e Parigi durante l'università. Ho scoperto che mia madre ha organizzato tutto, scrivendo a Harvard e al MIT senza dirmelo. Quando ho trovato le sue lettere, mi sono commosso.
Quante lingue parla?
Parlo bene inglese, francese e spagnolo. Mi arrangio in tedesco e portoghese e so dire cose simpatiche in altre lingue come swahili, indonesiano, farsi e russo. Capisco qualche parola dell'arabo e riconosco le varianti. Credo che sia importante esprimersi nella lingua del Paese in cui ci si trova. Con l'intelligenza artificiale, però, tutto questo potrebbe cambiare.
Però la Sua lingua madre è l'italiano?
In casa parlavamo il piacentino, un dialetto bellissimo e colorito, come il latino o il greco antico, che purtroppo sta scomparendo.
Quindi Liceo Classico e Ingegneria?
No, liceo scientifico. Era vicino a casa mia. Poi ho studiato ingegneria elettronica, anche se amavo le lettere e la filosofia. Ho scelto ingegneria per la sicurezza di trovare un buon lavoro e per misurarmi con obiettivi più alti. In famiglia ero il più vivace, e anche se i miei zii mi paragonavano ai miei cugini brillanti ingegneri, io so vivere solo così. Non c'è giusto o sbagliato, ognuno è fatto a modo suo.
Ingegneria Elettronica, perché?
Per tanti motivi. I suddetti cugini, ma anche il fatto che mio padre fosse un genio dell'elettronica. Sapevo che ci teneva e sapevo che si fidava di me. Tanto è bastato per non pormi troppe domande. Ma lui la sapeva davvero, io ho fatto quel che ho potuto. Inoltre, mia madre era cresciuta in azienda, nella raccorderia, dove lavorava al Commerciale Estero. E da piccolo in casa raccontava continuamente dei suoi dirigenti, che descriveva quasi come supereroi. Dovevo diventare uno di loro. Non avevo dubbi.
E infatti?
Beh, non a quei livelli. Diciamo che ho avuto un'ottima carriera.
Ho avuto la fortuna di trovare persone che hanno creduto in me e mi hanno dato la possibilità di farmi valere. Mi sono impegnato moltissimo. Per quasi vent'anni ho fatto il commerciale estero, partendo da zero, fino alla Direzione. Ho lavorato in tutto il mondo, sviluppando una rete di contatti che è il mio vero bagaglio professionale. Le aziende sono fatte di persone. Bisogna valorizzare i singoli, perché ciascuno ha delle peculiarità uniche e importanti. La sommatoria di questo porta ai risultati. Quanto più si riesce a mettere le persone nelle condizioni di fare del loro meglio con entusiasmo, tanto più la società funziona bene.
Torniamo a Brian and partners: cosa fa, oggi?
Per prima cosa bisogna dire che Brian è fantastica, ma è molto piccola. Siamo appena nati e, pur crescendo abbastanza bene, ci vuole tempo. Le cose importanti richiedono tempo. Per fare un bambino ci vogliono nove mesi, non si può mettercene quattro; ma nemmeno due anni. Equilibrio. Questa è la chiave. E pazienza. Ci vuole tantissima pazienza.
Brian sta crescendo in modo sano e si sta sviluppando in diverse direzioni: partita da equity & finance, si è strutturata tramite la parte di consulenza e, oggi, punta moltissimo sui sistemi di ingegneria, specialmente nel campo del ferroviario, delle energie rinnovabili, delle reti del gas e sull'idrogeno verde.
La cosa che mi rende fiero è che lavoriamo con nomi davvero enormi del panorama mondiale, come EDF, per esempio. Dico sempre che siamo una formichina atomica.
Qualche dettaglio in più su questa parte?
Oggi si fa un gran parlare di transizione energetica, per esempio. Noi siamo in grado di progettare e costruire campi fotovoltaici, incluso il discorso delle comunità energetiche, di qualunque dimensione, da pochi kW a molti MW, compresa la parte di interfacciamento alla rete di Terna e tutti gli annessi e connessi burocratici con il GSE e così via.
Se qualcuno ci chiede di costruirli, noi semplicemente arriviamo a consegnare il tutto chiavi in mano. Altrimenti possiamo anche costruire impianti nostri, occupandoci di vendere l'energia, come una piccola ESCo. Facciamo anche impianti galleggianti. Siamo in grado di fare eolico o di produrre idrogeno green, piccole centrali termiche, impianti a biomasse, idroelettrico, sistemi ibridi, sistemi di relamping, automazioni.
Tramite software che abbiamo sviluppato negli anni, al nostro interno, possiamo calcolare valori come il VIR (Valore Industriale Residuo) delle reti di distribuzione del gas.
Nel ferroviario forniamo soluzioni di vario genere, agendo come integratori e come EPC contractor. Insomma, diventiamo grandi, giorno dopo giorno. In alcune cose abbiamo già un buon track record, in altre siamo fermi alle intenzioni. Però è sempre come si diceva prima. Bisogna seminare. Bisogna che nevichi e piova e faccia caldo. Avere pazienza e dedizione. Poi i risultati arriveranno.
In cosa siete diversi dagli altri?
Nella mentalità e nel modo di lavorare. Da noi si vive l'azienda in modo unico. Molte aziende storiche sono un po' tristi, piene di gente senza motivazioni, che si imbosca o cui viene chiesto conto del tempo speso alla macchinetta del caffè. C'è gente che si prende molto sul serio. Poi magari ottengono più di noi, ma qui ci si impegna per lavorare con entusiasmo, con allegria, con gioia. Capita che in ufficio arrivino musicisti, capita che si cucini tutti insieme, capita che un giorno ci si trasferisca tutti su un campo da golf. Noi siamo diversi e non ne abbiamo paura. Questo si traduce in tre cose: siamo più bravi di molti altri, dal punto di vista tecnico, costiamo meno e, soprattutto, abbiamo una totale flessibilità nell'adattarci alle specifiche esigenze dei nostri clienti.
Sono i vantaggi di Brian: qualità, competitività e flessibilità.
Di recente ha vinto il prestigioso Premio America Innovazione, consegnato alla Camera dei Deputati, dalla Fondazione Italia USA. Chissà che orgoglio! Anche per la Sua Piacenza.
Orgoglio moltissimo, ma solo per me, penso. Piacenza ti guarda storto. Lo sanno tutti, ma non lo dice nessuno. Piuttosto si tagliano la lingua. Se un piacentino vincesse il Nobel tutti direbbero: "Ma chi? Cul lùc lì?". Mi dicono che sono troppo severo nel giudicare i miei concittadini, ma sono solo realista. Certamente ci sono molti che ti stimano e ti apprezzano, ma ce ne sono di più cui dai fastidio. E questo vale per tutti, non solo per me.
Poi dipende, anche a Piacenza piaci, se hai il nome giusto. Non è il mio caso? Qui sono altri ad andare sulle prime pagine. Sono quelli che vengono dipinti come grandi tycoon, ma quando parlano tutti si rasserenano, perché traspare la loro piacentinità con la ERRE moscia. Ci sono alcuni che fanno come facevano i presidenti del circolo delle bocce di Vairago: si premiano da soli. Poi chiedono udienza al Papa e vanno a Roma con il pullman, come Fantozzi e Filini.
E lì si sprecano grandi lodi ed eccelse parole. Sempre tra di loro.
Poi, quando hanno bisogno, ti chiamano e ti coccolano. E ti danno un calcio nel sedere appena non servi più. E guai se provi a lamentarti! Orrore e censura dal Mercurio Mensile, come per Ercole Savignano. Ma chiudiamo questo triste capitolo. Non ne vale la pena.
Ma come? Lei è apprezzato a Milano, a Roma, all'estero, ma a Piacenza no?
Nemo propheta in Patria. Gliel'ho detto. Qui se sei bravo non piaci. E io, nel mio lavoro, sono piuttosto bravo. Quindi dicono che "ci faccio dentro", dicono che me la tiro. Vorrebbero tanto fosse tutto fumo e niente arrosto. Quando vedono l'arrosto si arrabbiano e diventano vegani. Ma la soddisfazione di assaggiarlo non te la daranno mai.
Questa è solo la verità. Chi dice il contrario mente, sapendo di mentire.
Pensi Lei che sono in contatto con contesti di valenza internazionale. Ogni tanto mi premiano, anche senza che io abbia particolari meriti, a mio modo di vedere. Mi premiano perché faccio tante cose e, ogni tanto, anche qualcosa di buono.
Qui l'ultimo premio me lo diede Sua Eminenza il Cardinale Agostino Casaroli, nel 1996.
A Piacenza premiano altri, meno ingombranti. Bisogna pur sopravvivere.
Prima ha citato Fantozzi e Filini. Intendeva questo?
Amo moltissimo Fantozzi. Ho avuto l'onore di conoscere abbastanza bene Paolo Villaggio. Poi, recentemente, anche di salire sul palco con Massimo Boldi, che è un mio carissimo amico. Entrambi, Boldi e Villaggio, hanno detto pubblicamente che io sarei stato un ottimo attore, ma penso che dicessero più per darmi soddisfazione che altro. Uno era genovese, l'altro milanese, non avevano la ERRE moscia. Ma a parte gli scherzi, Fantozzi è Rigoletto, è Tribolet. Fantozzi è un eroe romantico, bello di fama e di sventura. Ne parlavo con il Maestro Leo Nucci. Continuo a proporgli una conferenza sul tema, sarebbe un sogno.
Ma non andiamo fuori tema. Cosa lega Fantozzi e, a questo punto, anche Rigoletto, al discorso su Piacenza e sulle piccole invidie campanilistiche.
Vede? Verdi era piacentino. Poi ce l'hanno fregato i parmigiani, perché noi piacentini siamo furbi, e Verdi era troppo bravo. Ce ne accorgiamo adesso. Lui soffriva le cose di cui abbiamo parlato. Chi pensa che siano i cortigiani? Marullo, che poi è Calboni in Fantozzi, chi crede che sia? A chi si è ispirato, Verdi? Non certo ai milanesi.
Piacenza è stata messa lì, oltre 2200 anni fa, dai romani. Era la porta della Gallia Cisalpina. In pratica era già un polo logistico. Chi veniva da nord e voleva andare verso Roma, passava di qui per forza. Quindi è normale che siano un po' diffidenti. C'era da stare attenti.
Ma scusi, e allora perché Lei rimane a Piacenza?
In effetti mi accorgo di aver esagerato, di essere stato troppo tranchant. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. Non tutti i piacentini sono così. Solo alcuni, quelli che vogliono mantenere lo status quo.
Ma ci sono più risposte possibili. Io ho qui le mie radici e non posso né voglio spostarle. Poi qui comunque si vive molto bene, nonostante tutto. E terzo, ma forse in realtà questa è la motivazione più forte, non la darò mai vinta a questi omminicchi cui non piaccio.
Non vediamo tutto nero, quel che descrivo è parziale. Effettivamente non piaccio a qualcuno, ma ci sono anche molti che mi stimano e mi apprezzano. E io apprezzo tutti, anche quelli cui non piaccio, perché mi danno stimoli e motivazioni. Quindi tutto sommato, Hic manebimus optime. Non si può piacere a tutti.
E invece fuori da Piacenza ha tanti amici, anche tra i cosiddetti "VIP".
Sì, perché sono timido. Io mi trovo bene con tutti. Ma è più facile, quando non c'è un preconcetto, quello di cui parlavamo sopra. Se sono con un intellettuale, magari romano o milanese o francese, io so che posso elevare il discorso. E il naufragar m'è dolce, in questo mare. Un mio amico una volta mi ha detto: "Se tu fossi nato a Roma saresti famoso". Ma a me non interessa. Io sto bene così. Come diceva Trilussa, la felicità è una piccola cosa. Però non bisogna neanche aver vergona. Io sono bravo? Non lo so, lo dicano gli altri. Quel che so è che cerco sempre di fare del mio meglio. E ho scoperto che questo piace ai cosiddetti VIP, mentre piace molto meno ai VTP.
Cosa significa VTP?
Se VIP sta per Very Important Person, VTP sta per Very Tristi Persons?
Forse a molti non piace questo suo grande entusiasmo. Il fatto che si metta a cantare o a dirigere un'orchestra. Gli imprenditori e i manager oggi si prendono molto sul serio?
Perché non hanno abbastanza talento. Prendersi troppo sul serio è l'atteggiamento tipico del mediocre o, ancor peggio, dell'incapace. Mediocre, di per sé, non ha un'accezione negativa.
Significa medio. E in medio stat virtus. Chi ha paura di non essere all'altezza, però, spesso si dà un tono per sembrarlo. Indossa la maschera della serietà, perché ha paura che altrimenti si veda il trucco, si veda la pochezza, si noti troppo il grigio. Noi siamo pieni di colori e non abbiamo paura. Se questo non piace non dipende da noi. È un tipico problema umano.
Mi criticano perché dirigo l'orchestra. Poi alle conferenze dicono: "Dirigere un'azienda è come dirigere un'orchestra" e a me vien da ridere, perché loro non hanno mai diretto un'orchestra, non sanno di cosa parlano. E forse non sanno nemmeno dirigere un'azienda. È facile giocare a fare Rockerduck quando sei nato sulla scrivania d'oro del nonno e a vent'anni ti hanno messo a fare il bullo con lo scettro del potere.
Cioè intende che molti imprenditori e manager sono lì perché hanno ereditato tutto, senza meritarlo?
Lei cosa ne pensa? Sa perché l'economia stenta? Provi a fare un ragionamento. Io vedo molta arroganza, gente che si prende molto sul serio, ma poi? Ma non voglio criticare, ognuno ha quel che ha. C'è gente che si gode i meriti del nonno e fa andar male tutto.
Però ci sono anche tanti altri che migliorano le cose. Ereditare non è sbagliato, anzi. Però cosa ne pensa? Sono più egocentrico io, che faccio quel che mi va, cercando sempre di migliorare, o è più egocentrico un arrogante che vive di posizione immobile?
È sempre una questione d'intelligenza. E quella, se non ce l'hai, non te la puoi dare.
Gli italiani, in media, ne hanno tanta. Non sempre hanno abbastanza cultura.
Non si sente italiano?
Io mi sento più italiano di Mazzini. E sono fiero di esserlo.
Però questo significa accettare anche i grandi difetti dell'italianità. La ristrettezza culturale, l'ignoranza, la propensione alla mediocrità, per non dispiacere nessuno. Viviamo in un'epoca in cui essere intellettuali è visto con sospetto, come fosse un disonore, non posso accettarlo. Dicono "uno vale uno". Eh no! Uno vale uno come persona, ma se giochiamo a calcio io non valgo Pelè. Se suoniamo il pianoforte io non valgo Pollini. Non mi piego alle logiche dell'ignoranza, del brutto. Lo dicevo prima, adesso è di moda chiamarlo "egocentrismo". Non sei uno dei tanti insipidi? Ti puntano il dito come con le streghe del medioevo: "Egocentrico!".
Perché? Perché esisto? Perché provo a seguire l'Ulisse dantesco. Le colonne d'Ercole non esistono, se non ce le imponiamo per paura.
Cosa non le piace del mondo di oggi?
Sono un positivista, in un certo senso. Credo nel progresso, nel fatto che il mondo, per quanto si abbia storicamente la percezione opposta, migliori sempre. Ma qual è il prezzo? Siamo arrivati a sbagliare un congiuntivo per non risultare snob? Ma davvero?
Se legge le mie risposte di prima, trae due conclusioni: la prima è che sono logorroico, la seconda è che sono uno snob che pensa di essere meglio degli altri.
È vera solo la prima. Glielo dico col cuore in mano. Io non penso di esser meglio, anzi. I giovani sono già tutti "meglio" di me, perché partono da una base che anch'io, nel mio piccolo, ho contribuito a costruire. Ho grande fiducia nella Natura, che è molto più furba di quello che l'uomo crede. La Natura è il Demiurgo. E il mondo migliora sempre, anche se noi abbiamo la tendenza all'autocommiserazione, per cercare consolazione.
E cosa non le piace dell'Italia?
Io amo l'Italia. Mi sento italiano.
Mi sento un po' anche americano, perché in fondo gli USA sono la mia seconda Patria. Dell'Italia non mi piace il tentativo di fregare sempre tutti. In Italia spesso vincono i furbi che hanno amici potenti. Vincono i ricchi. Ma chi sono i veri ricchi?
C'è una pressione fiscale asfissiante e non ci sono servizi. Dove finiscono quei soldi? Chi non mette la propria quota? Assistenzialismo elettorale, mancette di Stato, tutto un po' aummaumma? Ci vogliono convincere a studiare tutti. Ma perché? Deve studiare chi è capace e ha voglia, altrimenti bisogna andare a lavorare, a quattordici anni, anche. Servono operai, agricoltori, idraulici, meccanici. E ti dicono: "Eh, tu parli bene, però intanto fai un lavoro seduto in cui non ti sporchi le mani". Sì, ma non mi è piovuto dal cielo. Non hanno estratto a sorte. Mi sono fatto un mazzo enorme, e comunque non è tutto rose e fiori. Sono un piccolo imprenditore, di notte non dormo per le preoccupazioni. E se ho la febbre mica ho la mutua. Bisogna ritrovare buonsenso: non si può tassare sempre il dipendente o l'azienda virtuosa. Servirebbero statisti, come furono certi padri costituenti. Penso a De Gasperi. Avremmo tanto bisogno di un De Gasperi, oggi.
A parte il lavoro quali passioni ha?
Anche qui dovremmo scrivere un romanzo. L'arte, la letteratura, la filosofia, la musica, lo sport. Tantissime cose, ciascuna delle quali declinata sulle mie preferenze. E poi ci provo, cerco di cimentarmi. Ha tempo un paio d'ore?
In sintesi?
Tutto ciò che è Bello, con la B maiuscola.
Un po' meno in sintesi?
Leggo tanto. Mi piace scrivere. Amo la musica in generale, ma la classica e la lirica in particolare. Mi piace ascoltare, ma anche cantare. Pensi che, pur non avendo mai studiato musica, canto da tenore, ho perfino diretto orchestre, anche importanti, ho composto musiche. La passione muove le montagne. Mica ho la pretesa di essere un musicista o un cantante o un compositore. Ma sono curioso, io ci provo, sempre. Consapevolmente umile, ma mai pago.
Poi mi piace il golf e amo profondamente il Milan.
Come fa a scrivere musica se non l'ha mai studiata?
E che ne so? Io scrivo. Intendiamoci, non sono mica Brahms. Non mi lascio chiamare "compositore", sarebbe un insulto a chi lo è davvero.
Io so solo che se, in una certa battuta, c'è un do, posso accompagnarlo con un sol o con un mi o un mi bemolle. So che ci sono note che stanno bene assieme. Poi bisogna lasciar andare la fantasia. Ma ripeto, è solo un mio diletto, i professionisti sono ben altro. Ci vuole equilibrio. Ma la chiave è sempre l'entusiasmo.
Sappiamo che organizza molti concerti.
Organizzo, spesso con l'aiuto di altri. Sono presidente dell'istituto Pierluigi Da Palestrina, storica scuola fondata dal Maestro Albanesi. Sono presidente del Festival Piacenza Classica, ma chi mette insieme i programmi sono due professionisti: i Maestri Monica Righi e Ivan Maliboska. Io ascolto e imparo. Mi piace molto andare alle prove, sentire i mostri sacri discutere tra loro in gergo tecnico. Gente che suona alla Scala, al Metropolitan. Io mi metto lì e assorbo, come una spugna, vado in estasi. Bellissimo. Il concerto è solo la "bella" del tema. A me interessa anche tutto il resto.
E lo sport?
Ormai pratico, poco, solo il golf. Giocavo tanto, ma adesso sono tutto rotto.
Se invece intende lo sport in televisione, mi piace tutto.
Ma l'amore viscerale, quello è solo per il Milan.
Il Milan non va benissimo ultimamente?
Lei dice? Due anni fa abbiamo vinto lo scudetto più bello di sempre. Il Milan ha capito prima di altri, grazie alla proprietà americana e a ottimi manager, che una squadra di calcio è un'azienda e che oggi per vincere sul campo devi prima di tutto avere i conti in ordine. Quel che non tutti hanno capito, forse, è che vincere sul campo dovrebbe essere il core business. E forse non hanno nemmeno capito che l'Italia non è la Germania. Qui vinci anche facendo debiti, a determinate condizioni. Ma poi i nodi vengono al pettine. Quindi bene così, sperando che ci sia sempre una particolare attenzione ai risultati sul campo. C'è tanto lavoro da fare, tanto margine per migliorare.
Comunque sono un ottimista. Avrei preferito soluzioni diverse per il dopo Pioli, ma aspettiamo, di ufficiale non c'è ancora niente. Io credo che, almeno in Italia, possiamo competere con chiunque.
Si metterà in politica?
Mai, non fa per me. Penso che i politici debbano essere dei professionisti, adeguatamente formati.
Io non sono capace. Ci sono troppe pressioni, troppi rischi. Preferisco dedicare ad altro le mie energie. Avremmo tanto bisogno dei Churchill, degli Einaudi, dei De Gasperi, ma sono un sognatore. E poi faccio già troppe cose.
Come fa a star dietro a tutto?
Dormo poco e sono molto organizzato.