Great Resignation: quasi un italiano su tre sta cambiando lavoro
Marco Ceresa (Randstad): oltre agli elementi standard come retribuzioni e sicurezza contrattuale, emergono nuove istanze non negoziabili per i dipendenti, che oggi danno importanza alla realizzazione personale
I dati Istat affermano che il tasso di disoccupazione è in calo mentre cresce l'occupazione.
Sintomi di un mercato del lavoro in evoluzione e che non sembra risentire - per ora - della crisi energetica che impatterà sulle aziende Nel frattempo, anche in Italia sta proseguendo il fenomeno delle dimissioni di massa, che coinvolgono l'intero mondo occidentale, il vero frutto della pandemia.
Infatti, otre metà dei lavoratori italiani starebbe cercando un nuovo lavoro o inizierà a farlo a breve.

È un "esodo" silenzioso, ma già reale, secondo le rilevazioni del Workmonitor, l'indagine semestrale sul mondo del lavoro, condotta da Randstad in 34 Paesi.
Un effetto del fenomeno globale delle "Great Resignation", ma anche l'espressione di un malessere tutto italiano frutto del disallineamento diffuso sui valori di riferimento, la richiesta di maggiore flessibilità e la frustrazione per il mancato sviluppo professionale, che porta una larga parte dei dipendenti a ricercare nuovi obiettivi, meditati durante la pandemia.
Una trasformazione che riguarda soprattutto i giovani, che oggi dichiarano apertamente di dare priorità alla loro felicità piuttosto che al lavoro.
Secondo il Randstad Workmonitor, il 29% dei lavoratori italiani oggi sta attivamente cercando un nuovo impiego (l'Italia è al terzo posto al mondo in questa classifica), percentuale che arriva al 38% nella fascia tra i 25-34 anni.

E un ulteriore 24% di dipendenti sta considerando di mettersi a breve alla ricerca, con un'incidenza più alta tra le fasce giovanili.
D'altronde, gli italiani sono in penultima posizione al mondo fra coloro che nell'ultimo anno hanno ricevuto un aumento di stipendio (il 19%), in ultima per distribuzione dei benefit (53%), tra i meno agevolati dalla flessibilità (il 62% non può scegliere quante ore lavorare, il 60% dove e il 50% quando).
Ma le ragioni, nelle risposte dei lavoratori, sono ancora più profonde, tra perdita del significato profondo del lavoro, richiesta di maggiore formazione e di maggiore impegno nella sostenibilità ambientale e sociale.
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