La Fed rimuove le briglie ai tassi USA a lungo termine
Alexis Bienvenu (La Financiere de l'Echiquier): prevale oggi l'obiettivo della piena occupazione sul controllo dell'inflazione
Il forte rialzo dei tassi USA, passati da 0,50% all'inizio del mese di agosto 2020 a oltre 1,70% il 18 marzo scorso, ha sconvolto il pianeta finanziario e altrettanto farà, a medio termine, nella sfera economica.
Ha seminato desolazione tra i titoli che avevano maggiormente beneficiato del 2020, capovolto la gerarchia degli stili di gestione - dove i titoli disprezzati sono ora i più ricercati - e determinato perdite sulle obbligazioni cosiddette "senza rischio".

Le sue conseguenze saranno profonde e ben lungi dall'essere, oggi, tutte visibili.
Nemmeno sappiamo poi fino a che punto si spingerà.
Il mercato si chiedeva se al termine dell'ultima riunione del FOMC il presidente della Fed avrebbe indicato, usando magari parole velate, una linea rossa da non oltrepassare.
Non è accaduto.
Insistendo anzi sulla lunga strada che separa ancora l'economia americana dalla piena occupazione - uno dei due obiettivi conferiti alla Fed dal suo stesso statuto - Jerome Powell non ha accennato ad alcun segno di inasprimento dei tassi, che avrebbe potuto attenuare i timori di un surriscaldamento dell'inflazione.
Tutt'altro.
Prevale oggi, nel suo discorso, l'obiettivo della piena occupazione sul controllo dell'inflazione a patto che questa non si attesti su base duratura al di sopra del 2%.
La centralità dell'occupazione è tale che J.