Credito: tra boom di prestiti garantiti e crisi delle PMI (solo rimandata)
Fabio Bolognini (Workinvoice): l'ombrello delle garanzie statali ha innescato una corsa ai finanziamenti che ha sovvertito tutte le precedenti regole rilanciando la disponibilità di credito alle imprese. Con alcune criticità
Prima dello scoppio dell'emergenza sanitaria e del lockdown, il sistema del credito bancario alle imprese (soprattutto le PMI) si trovava in un trend di costante contrazione (tecnicamente etichettato come "deleveraging") deciso dall'intero sistema bancario per una serie di motivi legati alle regole di vigilanza. L'effetto dello scoppio improvviso della pandemia dal mese di marzo ha sovvertito completamente in 9 mesi il mercato del credito mondiale, e quello italiano non ha fatto eccezione.
Innanzitutto, il credito bancario alle PMI ha ripreso quota a seguito delle garanzie statali sui prestiti, mirate a far recuperare terreno all'economia reale. Una situazione non necessariamente sana (e di seguito vedremo perché) i cui effetti collaterali si vedranno nella seconda metà del 2021: una serie di distorsioni del mercato con cui dovranno confrontarsi, da un lato, le PMI - che dovranno imparare a pesare molto bene le scelte e valutare i possibili scenari post-credito garantito, su un orizzonte almeno triennale - e dall'altro le banche, che dovranno riprendere le erogazioni tradizionali avendo a disposizione bilanci 2020 del tutto falsati, e si troveranno alle prese con lo spettro di una nuova ondata di NPL che pensavano di essersi lasciate alle spalle.

L'effetto della pandemia sui rapporti tra banche e imprese ha un solo vantaggio: riportare al centro le dinamiche industriali e i rapporti nelle filiere di fornitura. Ma procediamo con ordine.
Dal "deleveraging" al "credit-rainfall"
A fine 2019, Banca d'Italia aveva misurato una riduzione del 31% delle erogazioni alle imprese, dal picco di 914 miliardi del novembre 2011 ai 631 miliardi di fine 2019. A fare le spese del processo di alleggerimento dei rischi corporate delle banche erano state in misura proporzionalmente più rilevante le microimprese (partite IVA e società di persone) e le piccole imprese. Ma con lo scoppio della pandemia e i conseguenti "pacchetti" di aiuto governativi il trend si è invertito.
Da marzo a settembre si è osservata la trasmissione di circa 100 miliardi di euro dalle banche all'economia reale. Guardando più a fondo e ripercorrendo tutta la strada, però, questo numero assume un valore del tutto diverso. Innanzitutto, a marzo, prima dei vari decreti di emergenza, le grandi imprese si sono mosse subito per generare liquidità di sicurezza molto rapidamente, attivando linee bancarie "committed" ma non utilizzate, per un valore di 15 miliardi.

Successivamente, l'approvazione dei vari DPCM ha garantito la moratoria pressoché automatica sui mutui di imprese e privati (con il decreto CuraItalia), poi la garanzia statale (Fondo Garanzia PMI) sino al 100% sui micro-prestiti (fino a 25mila euro) e del 90% alle PMI, oltre ad altre garanzie SACE per imprese medio-grandi (decreto Liquidità) con operazioni a 6 anni di cui 2 di pre-ammortamento; e infine, solo in giugno, l'estensione di garanzie SACE alle compagnie di assicurazione del credito per favorire il factoring (ma solo nella forma pro-solvendo).
Una vera "pioggia" di credito. Si pensi che, come appare nella relazione del Fondo, già al 30 settembre erano quasi un milione le microimprese che avevano ottenuto accoglimento delle richieste per i micro-finanziamenti da 25.000, per un totale di 27 miliardi, rispetto ai 57 miliardi concessi alle imprese più grandi.
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