La guerra delle mascherine è il tramonto della globalizzazione
I Paesi dipendono da supply chain troppo lunghe e basate solo sul valore. Sarà il caso di rivedere il concetto di industria strategica
Se c'è un lato buono del COVID-19 è che ha svelato cosa significa il concetto di sicurezza nazionale e, di conseguenza, interesse nazionale.
In un mondo che sembrava avviato ad una globalizzazione inarrestabile, il virus ha fatto capire quanto farraginosi e artificiali fossero i regolamenti e i comportamenti che fino a poche settimane fa regolavano il mondo.
In un clima da "si salvi chi può" si è passati al "mors tua vita mea".
Uno dei tanti fattori che hanno fatto cadere il velo dell'ipocrisia sulle presunte regole del commercio globalizzato è stata la guerra tutt'ora in corso delle mascherine.
L'unico vero grande produttore è la Cina, proprio nel famigerato distretto di Wuhan, e da lì vengono spedite in tutto il mondo via mare.

Hanno iniziato Francia e Germania a sequestrare le mascherine in viaggio per l'Italia, il primo Paese ad esser maggiormente colpito dal virus, in barba ai trattati europei e alla solidarietà .
Dopo le proteste qualcosa di è sbloccato, non tutto, ma intanto da noi il COVID-19 ha dilagato.
Adesso che l'emergenza è esplosa anche negli USA, emissari americani sono stati spediti in tutto il mondo ad acquistare a prezzo maggiorato le mascherine già destinate ad altri stati.
Berlino ha parlato di "moderna pirateria", ma gli USA si comportano esattamente come hanno fatto i tedeschi in tantissime altre occasioni, e fanno tutt'ora (insieme ad altri Paesi europei) poiché stanno da tempo facendo incetta sul mercato dei saturimetri, acquistandoli a qualunque prezzo.
Trump fa pressioni politiche sul governo cinese e, fatto non secondario, ha dotato i suoi emissari in giro per il mondo di liquidità senza limiti pur di accaparrarsi la merce.