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04/12/2019

digital

Il mercato dei big data analytics in Italia vale 1,7 miliardi di euro

Il 47% della spesa è dedicata ai software, il 33% ai servizi, il 20% alle risorse infrastrutturali. Mercato guidato da banche (28%), industria (24%), Telco e media (14%)

Il mercato italiano dei Big Data Analytics è dinamico e sempre più maturo, con imprese che mostrano un livello avanzato di utilizzo delle tecnologie, sperimentazioni complesse e competenze di Data Science, affiancate da altre che, pur in ritardo, si stanno attivando aumentando gli investimenti e puntando su progetti di integrazione dei dati. Nel 2019 il mercato Analytics raggiunge un valore di 1,7 miliardi di euro, in crescita del 23% rispetto allo scorso anno, oltre il doppio rispetto al 2015 (790 milioni), da cui è cresciuto con un tasso medio annuo del 21,3%.
La principale voce di spesa in Analytics sono i software (47%). Nei software gli strumenti per la visualizzazione e analisi dei dati pesano per il 53%, mentre il restante 47% è costituito da strumenti di "ingestion" dei dati, integrazione, preparazione e governance. Il 20% degli investimenti è dedicato a risorse infrastrutturali, i sistemi per abilitare gli Analytics e fornire capacità di calcolo e storage ai sistemi aziendali, primo fra tutti il cloud. Il 33% della spesa è destinato a servizi per la personalizzazione del software, l'integrazione con i sistemi aziendali e la consulenza per la riprogettazione dei processi.


Tra i settori, le banche sono il primo posto per quote di mercato con il 28% della spesa, seguite da manifatturiero (24%), telco e media (14%), servizi, GDO e retail (8%), assicurazioni (6%), utility (6%) e PA e sanità (5%). Resta però evidente il divario fra le imprese di grandi dimensioni e le PMI in termini di investimenti e competenze di Data Science. Il 93% delle grandi imprese investe in progetti di Analytics, contro il 62% delle PMI.
Ad una maggiore spesa corrisponde una più elevata esigenza di profili in grado di gestire i progetti: i più diffusi nelle grandi imprese sono il Data Analyst (presente nel 76% delle aziende, +20%), il Data Engineer (51%, +9%) e il Data Scientist (49%, +3%). Solo il 23% delle PMI, invece, ha introdotto almeno un Data Analyst e appena il 16% ha inserito un Data Scientist.
Sono alcuni risultati della ricerca dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano. La ricerca ha coinvolto attraverso una survey oltre 1000 CIO, Responsabili Innovazione e Responsabili Analytics di organizzazioni utilizzatrici di piccole, medie e grandi dimensioni ed executive delle principali aziende operanti nel mercato dell'offerta.


"Il mercato Analytics in Italia non conosce crisi e nel 2019 raggiunge quota 1,7 miliardi di euro, con un incremento del 23% rispetto al 2018", afferma Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence. "Le organizzazioni più mature hanno già internalizzato le necessarie competenze e stanno intraprendendo un percorso di sperimentazioni crescenti e di maggiore complessità, che ora li vede impegnate nella sfida di governare i progetti dal punto di vista organizzativo e cambiare i processi in ottica data-driven. Le aziende neofite dei Big Data, nel frattempo, iniziano a concretizzare le prime iniziative, prevalentemente con il supporto di competenze esterne. Tra le piccole e medie imprese, si registra un crescente interesse verso il tema e nuovi investimenti, seppur in uno scenario di complessivo ritardo dal punto di vista delle competenze. Il tema del recruiting di figure professionali dedicate è ancora molto sentito dalle aziende".
"Storicamente, il freno principale dichiarato dalle aziende all'implementazione di progetti di Analytics è stata la mancanza di competenze e figure organizzative interne, accentuato dalle difficoltà a reperirle all'esterno", spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence.

"Nel 2019, però, una grande impresa su due ha già inserito almeno un Data Scientist, le aziende che hanno già da tempo introdotto figure di questo tipo ne hanno incrementato il numero e una su tre lo ha addirittura raddoppiato. Grazie a questi profili, oggi riescono a elaborare progetti più complessi dedicati a machine learning, dati non strutturati, analisi in tempo reali. Chi non li ha ancora denuncia ancora difficoltà nel reperire le figure sul mercato. Anche per questo motivo, accanto al Data Scientist, nell'ultimo anno aumenta la diffusione di altre figure legate alla manipolazione del dato, come Data Analyst, presente oggi nel 76% di aziende, il Data Engineer (51%) e il Data Visualization Expert".

Le grandi imprese sono più avanti

Gli Analytics sono ormai un ambito conosciuto e prioritario per le grandi aziende. Il 93% sta investendo in Analytics, soprattutto in progetti di analisi dei dati (circa l'80%, di cui più della metà in iniziative di Advanced Analytics), in infrastrutture per aumentare il livello di integrazione dei dati (62%) e in azioni per migliorarne la qualità (54%).


Segue l'inserimento in organico di nuove competenze (47%), stabile sia tra le aziende che non hanno al momento risorse dedicate sia tra coloro che ne hanno già sperimentato l'impatto e sono intenzionate ad aumentarne la numerosità. Di minor interesse, invece, la formazione di base sull'analisi dei dati (27%), la creazione di una struttura organizzativa dedicata (24%) e gli investimenti tecnologici per migliorare la fruizione dei dati per una platea più ampia (22%).
L'analisi dell'Osservatorio sul percorso di ideazione, sviluppo e implementazione dei progetti di Advanced Analytics nel triennio 2017-2019 mostra come sia in aumento il numero di proof of concept: tra le aziende che hanno portato avanti almeno una sperimentazione, il 90% ha realizzato almeno un progetto nel 2019, contro il 64% del 2017, e in media quest'anno ogni azienda ha sviluppato più di tre proof of concept (uno a testa due anni fa). I progressi sono evidenti anche nei progetti attivati, con una riduzione di oltre la metà della probabilità di fallimento dei proof of concept (dal 65% del 2017 al 31% del 2019), anche se in media negli ultimi tre anni solo tre progetti su dieci sono passati a regime.




A che punto sono le PMI

L'analisi dei dati è un ambito di grande interesse anche per le PMI, che nel 62% dei casi hanno fatto investimenti nel 2019, concentrati soprattutto nell'integrazione dei dati interni (80%), nella formazione di base sull'analisi dei dati per risorse già presenti in azienda (66%), nell'integrazione di dati da fonti esterne (57%) e nello sviluppo di progetti di analisi predittiva (quattro su dieci, +10%). Gli obiettivi principali degli investimenti sono l'ottimizzazione della supply chain, in particolare in ambito manifatturiero, l'analisi dell'ambiente competitivo e la necessità di aumentare l'efficacia delle campagne di marketing.
Tra le aziende che hanno portato avanti progetti di questo tipo, i risultati sono percepiti altamente innovativi nel 29% dei casi. Il 40% del campione ha sviluppato progetti di analisi avanzati, almeno predittivi, per lo più affidandosi a competenze esterne. Il 18% mostra una buona maturità nello sviluppo di analisi descrittive e nell'integrazione dei dati interni e sta lavorando anche sull'integrazione di dati esterni, oltre a mostrare interesse per la formazione dei dipendenti (sei su dieci hanno attivato piani di formazione sull'analisi dei dati).


Il 4% si sta concentrando soltanto sugli investimenti per l'integrazione dei dati interni, mentre il 38% non ha avviato nessuna iniziativa o investimento e non percepisce i vantaggi dei progetti di Analytics.
Se si sposta l'analisi sulle competenze, si allarga la distanza dalle grandi imprese: soltanto il 16% delle PMI ha al suo interno almeno un Data Scientist e poco più di una su cinque (23%) almeno un Data Analyst. Non molto distanti i numeri delle sole medie imprese, in cui il Data Analyst è presente in un'azienda su tre. Nelle aziende che hanno assunto profili di Data Science i risultati dei progetti vengono percepiti come molto innovativi nel 40% dei casi, contro il 21% delle imprese che utilizzano solo collaboratori esterni.


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