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14/09/2016

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Zamagni e De Grandi (Choralia): il performance management e' la chiave del successo aziendale

Un venditore oggi deve essere in grado di leggere il business del cliente, capire i suoi fattori chiave di successo, e integrare la propria offerta con le problematiche della controparte. Ha senso fare formazione se questa produce risultati di business e misurabili

"Mettiamo le mani nel motore... e non abbiamo paura di sporcarci le mani!". E' il motto di Choralia, una società di consulenza per lo sviluppo delle risorse umane che opera con un approccio di performance driven training: pone al centro gli obiettivi di risultato atteso dall'azienda, per massimizzare la performance e il ritorno economico attraverso l'apprendimento. Choralia - fondata da Claudio Zamagni (AD) e Lorenzo De Grandi (Presidente) - propone l'apprendimento come vantaggio competitivo, in particolare per lo sviluppo della agilità organizzativa delle organizzazioni e nella ingegneria dei processi di vendita, di customer service e di conquista dell'ultimo miglio. Un approccio decisamente intrigante. Ne abbiamo parlato con i due fondatori.

Come si è evoluto il ruolo delle forze vendita nell'economia digitale?

Zamagni: In tutti i settori abbiamo un fenomeno di cambiamento nel comportamento di acquisto del cliente. Quest'ultimo si rivolge sempre più ad internet per raccogliere informazioni, per fare un pre-screening dei fornitori, per valutare criteri e caratteristiche che possono aiutarli nel raggiungimento della scelta.

Un esempio su tutti è l'acquisto dell'automobile: chiunque va a vedere quali sono le caratteristiche di un modello, i prezzi che vengono fatti, le diverse offerte e le concessionarie. Spesso e volentieri il venditore o l'organizzazione commerciale soffrono un po' la presenza di questo tipo di comportamenti del cliente, che potrebbero ridurne il ruolo. In realtà, quanto più il cliente deve investire denaro nell'acquisto del bene, del servizio o del fattore di produzione, tanto maggiore è la ricerca di dati e fatti. Ma questo non significa una diminuzione del ruolo del venditore, anzi. Per quest'ultimo diventa fondamentale capire cosa sà già il cliente, poiché esso è predisposto ad acquisire informazioni, ha idee più chiare, e proprio per questo è possibile ragionare molto meglio con lui. Questo è uno degli elementi su cui ragioniamo sempre più frequentemente, proprio per aiutare il venditore a portare a casa contratti. Integrare il proprio approccio diretto col cliente con tutti gli strumenti che vengono a monte del processo di acquisto: da Google ai siti verticali di raccolta di informazioni, oppure LinkedIn per sapere chi è il venditore con cui ci si incontrerà o quali sono le persone che possono avere maggiore competenza rispetto ad un argomento.



Nella vostra esperienza, quali skill riscontrate siano sempre più richieste dalle imprese in ambito sales?

De Grandi: Un tempo, quando si cercava un venditore ci si concentrava sull'abilità di relazione. Si andava quindi a vedere la capacità di comunicazione di entrare in sintonia con i clienti. Oggi a queste caratteristiche, che rimangono fondamentali, se ne sono aggiunte di nuove, e sono collegate al concetto di business acumen. Un venditore oggi deve essere in grado di leggere il business del cliente, di capire i suoi fattori chiave del successo, di integrare la propria offerta con quelle che sono le problematiche del cliente. Quindi venditori che siano sempre più imprenditori, capaci di analizzare e non più solo la vecchia capacità di relazione. Devono essere in grado di produrre valore. Questo ci porta quasi ad un paradosso: oggi è forse meglio avere dei venditori esperti nel business del cliente più che persone assolutamente esperte nel proprio. Le due cose insieme portano al successo.
Questo comporta il fatto che sempre di più le competenze devono essere collegate alle performance delle persone.


Significa che ha senso fare formazione se quest'ultima produce risultati di business e misurabili. In questo senso, ci concentriamo su quelle competenze che maggiormente siano correlate ai risultati aziendali. Questa correlazione è assolutamente identificabile e riscontrabile. In particolare, abbiamo sviluppato uno strumento che si chiama Vantic che consente di trovare una correlazione statistica che spiega quanto un incremento di una prestazione sia dipendente dalla competenza di una persona.
Zamagni: Avantic lavora correlando gli indicatori chiave di prestazione di una determinata famiglia professionale all'interno dell'impresa con il modello di competenze che l'azienda ha messo a punto. Quest'ultimo può essere ulteriormente raffinabile e proprio per questo esiste uno strumento come Vantic, perché ci permette di analizzare quanto le competenze "fittano" con la realizzazione del business. La necessità di uno strumento di questo genere è importantissima per la funzione HR, ma anche per la direzione dell'impresa al fine di guidare i propri investimenti, in quanto ci consente di individuare quali sono le attività - in una famiglia professionale - che permettono di raggiungere una prestazione più alta.


Noi integriamo Avantic con una serie di cruscotti che aiutano la direzione HR e d'impresa a prendere decisioni migliori. Non per nulla Vantic si definisce un Decision Support System, uno strumento tipo analytics che aiuta a prendere decisioni migliori e investire meglio le proprie risorse economiche.

Tutti offrono formazione. La vostra struttura è nota per operare nel performance management. Che cosa vi contraddistingue dalla concorrenza?

Zamagni: Choralia opera da sedici anni nell'area dello sviluppo delle Risorse Umane facendo formazione ma anche fornendo alle imprese tutti gli strumenti che possono aiutare ad allineare le competenze degli individui agli obiettivi strategici dell'azienda. La nostra caratteristica è proprio la capacità di portare in aula gli obiettivi, i problemi quotidiani che le persone debbono affrontare, e aiutare a sviluppare le competenze che migliorano la performance. Intendo le competenze specifiche per famiglia professionale, quelle che aiutano a raggiungere i risultati migliori, sia attraverso un'analisi delle best practice aziendali, sia attraverso strumenti come Vantic che pesano le competenze critiche per il raggiungimento degli obiettivi.



Questa caratteristica è sostenuta da altre capacità. Choralia è costituita da 15 professionisti della formazione e con una grande esperienza aziendale, con una conoscenza concreta delle dure leggi del business. Non si può fare soltanto formazione di gradimento, psicologica o emotiva (che è benvenuta e graditissima), ma occorre anche ricordare e pensare che usciti dall'aula gli individui devono tornare al loro compito e alla richiesta di raggiungere i loro risultati. Questi sono spesso importanti e da ottenere in situazioni difficili, poiché le condizioni del cambiamento del mercato di oggi sono sempre più faticose e difficili. Necessitano un apprendimento che va al di là dell'aula ma che si realizza sul campo, e in continuo.

Esistono delle differenze in ragione dei settori di attività delle imprese?

De Grandi: Ovviamente si. Settori diversi hanno problematiche diverse. In particolare, mercati maturi rispetto ad altri più in crescita o nuovi, portano a problematiche diverse. C'è da dire che ci sono temi in termini di competenza che sono assolutamente trasversali: la capacità di leggere l'impresa, di saper leggere un mercato, di lavorare per creare valore per i propri clienti, valgono sia nei mercati maturi sia in quelli emergenti.


Quindi fondamentalmente quello che riscontriamo è che ci sono delle tematiche assolutamente trasversali, ma quello che cambia realmente è la modalità con cui vengono sviluppate e l'integrazione dei modelli, che sono tutto sommato riconoscibili, con invece specifiche realtà, processo o prodotti di un cliente. La differenza sta più nella personalizzazione dei contenuti che non nel modello di riferimento da cui si parte.

Che impatto hanno le innovazioni tecnologiche e la digital transformation nel ruolo e nelle responsabilità della rete commerciale?

De Grandi: L'evoluzione delle tecnologie ha cambiato in modo radicale il modo in cui si lavora. Principalmente perché hanno reso l'informazione accessibile a tutti. Oggi è facilissimo ottenere informazioni che prima richiedevano giornate intere di studio o di analisi. Questo paradossalmente ha focalizzato le persone e le aziende più sull'informazione e sullo strumento che non sulle sue implicazioni. Ma è fondamentale il lato umano poiché le informazioni servono a prendere delle decisioni intelligenti. Questo lo riscontriamo sia all'interno delle imprese sia sul fronte commerciale.


Spesso i venditori si concentrano di più sull'uso di strumenti come l'iPad, piuttosto che capire, ascoltare e proporre qualcosa al cliente. Quest'ultimo a sua volta è più spesso attratto dall'osservare un'immagine o quanto avviene a livello tecnologico rispetto a concentrarsi sulla relazione interpersonale tra i due. Per cui da strumenti che aiutano parecchio, c'è il rischio che possano diventare troppo pervasivi, e quindi anziché un ausilio essere un fattore di distrazione. In sintesi: si alla digitalizzazione, si all'informazione, ma senza togliere la centralità alle risorse umane.
Zamagni: In tutti casi in cui è il venditore che porta tecnologia e digitalizzazione all'interno dell'impresa avviene un cambiamento molto importante nel modo in cui si vende e si approccia il mercato in termini più generali. Intanto perché non può più vendere alla funzione IT o alla funzione acquisti, in quanto la digitalizzazione è un tema nell'agenda di un CEO, di un Amministratore Delegato o un Direttore Generale. Di conseguenza è necessario sollecitare i piani alti dell'impresa, fornire loro criteri, spunti, idee per aumentare il valore aggiunto prodotto dall'impresa attraverso la digitalizzazione.


E' una cosa molto complessa. Occorre infatti conoscere bene il business dell'azienda e il mercato a valle della stessa; vedere come gli ingredienti IT moderni - dal cloud ai big data o lo IoT - possano intervenire all'interno della catena del valore dell'azienda creando vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti. Proprio lì dove si creano i vantaggi competitivi ecco che il venditore può creare valore, fornendo una proposta adeguata al rinforzo proprio di questi elementi caratteristici competitivi dell'azienda cliente.

Si parla molto negli Usa dell'utilizzo dei big data nella gestione delle risorse umane: voi che valutazioni fate su questo fenomeno?

De Grandi: E' veramente un cambiamento epocale. Consentono di tracciare e venire a sapere tutti i principali comportamenti, le aspirazioni, le attese, le necessità, delle persone che lavorano in una azienda. I big data permettono quindi di personalizzare la comunicazione e di creare piani personalizzati: dallo sviluppo delle persone alla modalità di fruizione. Sono quindi un elemento fondamentale e che necessita di analisi (il nostro uomo delle risorse umane deve concentrarsi su di essi), ma che potranno permettere anche la fidelizzazione delle persone: individui all'interno dell'azienda troveranno le risposte ai loro bisogni di crescita e di interazione con l'azienda stessa.



Zamagni: I big data ti devono portare ad avere una rappresentazione della realtà, che sia della tua forza vendita o dei clienti. Per riuscire in questo occorre avere un modello di interpretazione. Senza questo, i dati sono nulla, liste di numeri che creano soltanto una dipendenza. Si continua ad analizzare senza arrivare mai ad una rappresentazione chiara della realtà che bisogna affrontare.
 


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