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14/10/2015

economia

Siamo tornati al Bad is good?

Balsotti (JCI Capital): i dati negativi sull'occupazione negli USA si aggiungono a quelli sul manifatturiero e altri comparti. Motivo per rendere più aggressive le banche centrali nel supportare i mercati?

Il dato dei Non-Farm Payrolls è stato inequivocabile. Se poco c'è da discutere sulla negatività del dato, un dibattito assai più acceso si è generato dopo l'inattesa reazione del mercato.
I 142k posti di lavoro creati a settembre (vs 203k attesi) e le revisioni al ribasso per 59k complessivi sui dati di luglio e agosto rendono la creazione di circa 120k inferiore alle attese. Negli anni si sono visti NFP anche più sorprendenti (nel bene e nel male) ma erano tanti mesi che non ne veniva pubblicato uno così lontano dalle aspettative.
A rincarare la dose l'inflazione salariale sempre assente e un tasso di disoccupazione che rimane invariato al 5.1% (e non risale nonostante la perdita di 236k posti di lavoro nell'household survey da cui si ricava tale tasso) solo grazie a un minore (l'attuale 62.4% è ai minimi dal 1977) tasso di partecipazione alla forza lavoro.
Per i più sofisticati, che sperano che minori assunzioni possano essere legate a fattori inerenti all'offerta di lavoro (meno lavoratori disponibili avendo raggiunto bassi tassi di disoccupazione) e non alla fragilità della domanda, l'ipotesi cade (oltre che di fronte all'assenza di pressioni salariali) vedendo che anche le ore lavorate sono in calo (non si dovesse riuscire ad assumere a fronte di una domanda robusta di beni e servizi, si farebbero lavorare più ore i dipendenti esistenti).


Infine, un'analisi settoriale mostra come i comparti dell'economia che garantiscono la maggior parte della creazione di posti di lavoro siano quelli a basso salario medio. Insomma l'unica attenuante è quella (sempre valida nel caso dei Payrolls) di essere un dato volatile e soggetto a forti revisioni future, quindi non necessariamente una bibbia dell'analisi fondamentale, nonostante sia spesso un faro di breve periodo per il mercato.
Fin qui c'è poco da discutere. E la reazione iniziale del mercato è stata in effetti quella che si poteva aspettare: risk-off senza sconti, S&P 500 -1.6%, EUR/USD sopra 1.1300 e USD/JPY sotto 119.00, tassi in forte discesa (10Y Treasury -12bp a 1.92%, Fed Funds di gennaio 2017 -12bp a 0.55% con meno di due rialzi scontati da qui a fine 2016). La parte più interessante è arrivata circa due ore dopo il dato. Si è assistito a un ribaltamento, inatteso e violentissimo.
E' stato particolarmente visibile sugli indici azionari dove dal citato -1.6% si è infine chiuso (S&P 500) a +1.4%. Nell'arena FX ci si è limitati a cancellare quasi tutti i guadagni che EUR e JPY avevano messo a segno, tornando a 1.

1200 e 120.00, mentre alcune valute emergenti trasformavano le perdite in guadagni (similmente agli indici azionari). Le curve dei tassi subivano il rimbalzo ma rimanevano maggiormente ancorate allo shock fondamentale del dato: il 10Y chiudeva a 1.99%, mentre bisogna ora aspettare giugno 2016 per vedere 25bp di rialzo completamente prezzati, fine 2016 per vederne 50bp e ce ne sono solo 100bp a fine 2017.
Perché una reazione simile? Non ritengo valide le interpretazioni "buoniste" che sono cominciate ad affiorare con il rimbalzo: il dato non è poi così male, la stagionalità di settembre è negativa ed altre dello stesso tenore. Il dato resta indifendibile, al limite possiamo discuterne la scarsa rilevanza.
Siamo forse tornati al paradigma che ci ha accompagnato per anni fino a qualche mese fa? Il famigerato "bad is good" con le notizie negative sull'economia che rendono più aggressive le banche centrali nel supportare i mercati? E' possibile che ci sia stata una componente di tutto questo in grado di riaffiorare: nei prossimi giorni avremo Draghi e Kuroda sotto i riflettori e in molti sperano che da loro possano arrivare parole (e non solo) di conforto.

Credo però che l'impatto di questo meccanismo sia stato solo marginale. Ne sapremo di più nelle prossime settimane. La reazione dopo un indice ISM non manifatturiero più debole (non drasticamente) delle attese è stata meno chiara e non ha dato chiavi di lettura particolari.
In realtà la motivazione più probabile arriva, a mio avviso, dal posizionamento del mercato speculativo, assai sbilanciato nel cercare ulteriori ribassi di breve e preso totalmente in contropiede nel vedere svanire il momento negativo, nonostante un dato indubbiamente pessimo. Il grafico aiuta a vedere la situazione sotto questa luce: lo short-squeeze ha avuto una parte fondamentale ed è difficile ipotizzare che i guadagni azionari abbiano ricevuto contributi sostanziali da nuovi compratori di lungo periodo. Almeno per ora. Magari ne arriveranno rinfrancati dalla reazione.
In ogni caso, anche sottolineando questi fattori, la price-action va rispettata ed è indubbio che venerdì pomeriggio la battaglia sia stata vinta da chi pensa che la discesa dei corsi degli ultimi due mesi sia una buona occasione di acquisto.
La guerra è ancora lunga però e, se il dato dei Payrolls USA conta qualcosa, in qualche modo le probabilità che possa essere vinta da chi si aspetta maggiore turbolenza e difficoltà nei prossimi mesi sono aumentate.




Alessandro Balsotti, Senior Portfolio Manager di JCI Capital Limited

 


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