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_Aprile2013

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Export, ergo sum

Carella (Manageritalia): Nei mercati emergenti il Made in Italy ha un fascino innegabile e da sfruttare al meglio. Ma c’è parecchio da fare


L’export per l’Italia e per le nostre aziende è il jolly da giocare per guardare a crescita e sviluppo.
Infatti, la domanda interna è in calo, ma soprattutto i giochi oggi avvengono là, sul mercato globale, nei mercati emergenti, dove milioni, miliardi, di persone si affacciano chi alla ricchezza, chi al benessere, molti di più a un riscatto dalla povertà.
E in questi mercati, presso questi consumatori, il made in Italy, fatto anche di meccanica ecc., ha un fascino innegabile e da sfruttare al meglio.

Export, ergo sum

È il modo per essere e stare dove c’è e ci sarà la crescita, dove per competere e avere spazio e vendite bisogna confrontarsi con i campioni dell’economia globale, bisogna innovare a livello organizzativo, di prodotto/servizio, di processi ecc. Il modo migliore anche per riportare in patria a vantaggio di tutto il sistema-Paese questi upgrade dei quali abbiamo tanto bisogno nell’economia e nella società, nel pubblico e nel privato.
Quindi, è all’export che dobbiamo guardare.
Infatti, nonostante il rallentamento della domanda internazionale, l’export rappresenta oggi più della metà del fatturato delle imprese dei distretti, che a sua volta è pari a più di un quarto delle vendite estere dell’Italia.
Ma da fare c’è tanto, tantissimo.
Poche migliaia sono le imprese che esportano da tempo con prodotti/servizi e pratiche consolidate e innovative e sono ben posizionate nei principali mercati.

Seguici: 

Poi c’è il vuoto o quasi.
200mila aziende che esportano abitualmente, ma senza una precisa strategia e l’obiettivo di creare valore invece di tappare solo le falle di un fatturato interno calante.
Altre 300mila che lo fanno solo una volta all’anno e con un fatturato medio di poche migliaia di euro (Antonio Belloni, Esportare l’Italia - Guerini & Associati).
Come dice il IV Rapporto sui distretti italiani (Unioncamere ecc.) le strategie da mettere in campo per risolvere le criticità di quelle tantissime imprese che hanno un export blando sono: investire in competenze e managerialità, allungare le filiere e rafforzare il raccordo con l’offerta di terziario innovativo, riposizionarsi sui mercati esteri, ridefinire il rapporto con le banche.

Insomma, serve più managerialità, presenza, competenza e gestione manageriale.
Perché oggi per fare export bisogna parlare la lingua degli interlocutori con i quali dobbiamo relazionarci nelle varie catene del valore globali.
E non è tanto la lingua parlata (inglese o cinese che essa sia), ma il linguaggio organizzativo fatto di processi, prassi e supporti di information communication technology, quello che permette di capirsi, dialogare e produrre valore insieme nella rete nella quale si deve operare.
Se mancano questi presupposti c’è incomunicabilità, si perdono opportunità, fatturati e mercati.
Non è un caso che proprio quelle poche migliaia di imprese che fanno export in modo consolidato e vincente, e presidiano al meglio i mercati mondiali, le cosiddette multinazionali tascabili, abbiano in un bilanciato e corretto rapporto imprenditori e/o azionisti e management il loro punto di forza.

Non è un caso che oggi più dell’80% dei dirigenti del settore privato che lavorano in Italia vadano all’estero almeno una volta al mese e il 50% molto di più.
Non è un caso che le sempre più frequenti, ma ancora troppo scarse, occasioni di incontro e collaborazione tra manager e Pmi siano soprattutto volte a chiedere al manager di dare all’azienda quell’organizzazione, quei linguaggi e quella conoscenza e capacità ormai indispensabili per stare sul mercato e per competere nei mercati esteri.
Perché la dimensione in sé non è un ostacolo e comunque non insormontabile, lo sono molto di più quegli aspetti critici suddetti legati a managerialità, organizzazione e finanziamento.
Superabili con un’adeguata e più o meno flessibile managerialità e lavorando su alleanze, reti o qual si voglia forma di aggregazione anche solo di scopo per competere all’estero.

Le aree sono soprattutto: commerciale, marketing e comunicazione, logistica e assistenza tecnica.
E le sinergie nel management e in queste aree sono e devono essere la strada da percorrere tra aziende complementari e anche concorrenti
.
Solo così possiamo veramente ripartire.
Contando sui manager, che da questo punto di vista anche loro devono e possono migliorare: l’esperienza all’estero, la capacità di muoversi in contesti internazionali, la visione globale del mercato sono must che vanno coltivati e rafforzati.
Per il proprio sviluppo professionale e per contribuire insieme agli imprenditori a portarci sui mercati che contano e conteranno sempre di più per stare da protagonisti nell’economia globale.
Guido Carella, Presidente Manageritalia



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