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Settembre_2013

editoriale

La chimera della ripresa

Tanti ne parlano ma nessuno la vede veramente. O sarà solo nelle carte

Ministri e autorevoli rappresentanti dell’industria da qualche giorno parlano sempre più apertamente di ripresa. E in questo sono sostenuti anche da vari esponenti del mondo finanziario. Una ripresa che, qualora fosse veramente iniziata, in realtà è stata percepita da ben pochi.
I numeri dicono che in Europa a livello di produzione industriale la tendenza è di -2,1% per l’area euro e -1,7% per l’UE. E il PIL 2013 è tra il territorio negativo o neutro. La disoccupazione cresce ancora e attualmente è al 12,1%, mentre scendono anche l’occupazione e salgono coloro che hanno smesso di cercare lavoro. Consumi e capacità di risparmio delle famiglie sono in trend negativo da tempo. E poco importa se questi dati sono le medie europee che comprendono anche quelli positivi del cigno nero Germania (in attesa della riconferma di frau Merkel) e dei suoi anatroccoli del Nord. Proprio questi ultimi sono quelli che probabilmente nel 2014 se la vedranno peggio di altri, con bolle immobilari speculative, alto debito privato e disoccupazione crescente. Forse qualcuno da Atene chiederà all’Olanda di vendere il museo di Van Gogh? Mai dire mai.


La Francia non sta certo meglio di noi, e Hollande non vede l’ora di poter smaltire materiale bellico da rimpiazzare. E anche l’ineffabile UK non se la passa certo bene, come dimostrano i suoi fondamentali, e la voglia di guerra di Cameron.
E certamente meglio non stanno gli Stati Uniti, che stanno fingendo di sfogliare la margherita “tapering-no tapering”, quando proprio due analisti della Fed hanno rivelato al mondo la nudità del sovrano, cioè l’inutilità pratica del quantitative easing. Per dirla in soldoni: il QE2 da 600 miliardi di dollari, circa il 4% del PIL USA, avrebbe generato solamente un aumento dello 0,13% del PIL stesso. Un totale fallimento, altro che programma di stimolo. E’ un aiutone al sistema finanziario e non certo all’economia reale. E anche al di là dell’oceano, la disoccupazione non accenna a diminuire, se non nei report in cui si modificano i fattori di calcolo a seconda delle convenienze, con una forza lavoro che si sta sempre più deteriorando. Ma intanto l’ordinativo delle imprese ha subìto una brusca frenata e in queste condizione è difficile ipotizzare che cresca l’occupazione.

Specialmente quella creata dalle PMI locali, che rappresentano circa l’80% di chi riesce a creare posti di lavoro. E continua a crescere la popolazione che vive grazie ai sussidi e food stamps. E il premio Nobel per la pace Obama pensa sempre di più di puntare sull’industria bellica per sollevare l’economia USA.
Vista così, la guerra in Siria si dimostrerebbe un vero toccasana per molti. Ma la recente esperienza dimostra che con le varie “primavere” si sa come si inizia e non come si finisce.
In tutto questo hanno rallentato la loro corsa anche i Paesi Emergenti, che dovrebbero poi essere uno dei target privilegiati del nostro export, sia italiano sia europeo.
E proprio l’export è uno dei pochi fattori che tiene a galla il nostro Paese. Solo che il marchio Made in Italy non basta più da tempo per essere protagonisti sui mercati internazionali. Se l’Italia è in crisi, l’Europa è in crisi, l’America è in crisi e frenano anche i mercati emergenti, chi acquista i nostri prodotti?
L’OCSE afferma che saremo l’unico Paese delle cosiddette economie avanzate che non crescerà nel 2013 e probabilmente anche nel 2014.


La disoccupazione non accenna a diminuire e si prevede un ulteriore incremento. Il tasso di mortalità delle aziende cresce ad ogni rilevazione, così come pressione fiscale (principale motivo di mancati investimenti in Italia dall’estero), entrate tributarie e fabbisogno statale. Le associazioni di categoria lanciano continue grida di dolore per la perdita di incassi e posti di lavoro. Ormai abbiamo una economia interna asfittica per mancanza di liquidità, e le banche aggiornano costantemente il tasso delle sofferenze.
Dati che indicano una frenata della discesa, non significano che sia iniziata la risalita. Ma quando dicono che è iniziata la ripresa, a cosa si riferiscono? E che cosa è una “ripresa acerba”? (cit. Draghi).

Claudio Gandolfo


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