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Novembre_2013

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Doing Business 2014: troppe tasse per le imprese in Italia

Nel report della World Bank l\'Italia è al 65° posto (su 189 nazioni), penalizzata da burocrazia, costo del lavoro e troppe tasse. Il nostro carico fiscale è superiore al 65% contro una media Ocse del 41%

Il costo di fisco e burocrazia per le imprese in Italia è decisamente elevato: lo conferma la classifica Doing Business 2014 della Banca Mondiale. Anche se nel report di quest’anno avanziamo di due posti, collocandoci al 65° posto su 189 Paesi, abbiamo davanti a noi perfino Ruanda (32°), Messico (53°), Botswana (56°), Panama (55°). C’è quindi molto poco di cui andare fieri.
La top ten è poco variata: sul podio restano Singapore, Hong Kong e la Nuova Zelanda, seguiti da Stati Uniti e Danimarca. La prima sorpresa è al sesto posto, dove la Malesia supera la Corea e la Norvegia, preceduta dalla Georgia. Decimo posto per la Gran Bretagna.
Attraverso una serie di indicatori quantitativi relativi a 11 ambiti di regolazione, Doing Business mira a mobilitare i policy-maker affinchè riducano il costo e la complessità delle procedure a carico delle imprese. L\'obiettivo non è muoversi verso una minore regolamentazione, ma in direzione di norme che facilitino le interazioni sul mercato e tutelino gli interessi pubblici senza ostacolare lo sviluppo del settore privato.

Luci ed ombre dell’Italia

L’avanzamento di tre posizioni dell’Italia è dovuto principalmente a tre fattori oggetto di riforme tra il 2012 e il 2013, che hanno migliorato il contesto normativo italiano.

L\'Italia è infatti il Paese che più di tutte le economie misurate ha ridotto le spese legali, con un tariffario ufficiale che determina i costi da sostenere in assenza di accordo tra avvocati e clienti.
La seconda riforma, fondamentale per le aziende, riguarda il tema dell\'insolvenza: secondo il rapporto, attraverso la riforma del codice fallimentare, l\'Italia ha reso più semplice la ristrutturazione dei debiti.
La terza riguarda la semplificazione delle norme sul trasferimento di proprietà, eliminando la necessità di un attestato di certificazione energetica per gli edifici commerciali privi di sistemi di riscaldamento.
Passiamo alle note dolenti, Il primo elemento critico di interesse che emerge dallo studio è la scarsa competitività fiscale dell’Italia: occupiamo la 138° posizione su 189 Paesi (!) presi in esame, con un Total Tax Rate del 65,8%, di gran lunga superiore alla media OCSE che si attesta al 41,3%.
Il calcolo del Total tax rate avviene rapportando la tassazione dell’impresa (la corporate tax, la tassa sui profitti, i contributi e tasse sociali e previdenziali, le tasse su dividendi, capital gain e transazioni finanziarie, tasse su rifiuti, veicoli, trasporti e simili) sui profitti totali.

In questo parametro, tra i Paesi europei vanno meglio Regno Unito e Germania, che fanno segnare rispettivamente un TTR del 34% e del 49,4%. Francia e Spagna fanno segnare rispettivamente un 64,7% e 58,6%.
L’Italia invece, oltre a mettersi in mostra per un alto tax rate, denota anche un sistema fiscale farraginoso e complesso. Un mix di fattori letale per la competitività fiscale dell’Italia.
Oltre alla tassazione, un altro fattore chiave preso in esame dal report è il costo del lavoro. Uno dei motivi per cui l’Italia non fa progressi sul fronte della facilità di avvio impresa, riguarda i costi: sui tempi sono stati fatti passi (bastano 6 giorni per tutte le pratiche necessarie ad aprire un’attività, su una media Ocse di 11 giorni), ma le procedure restano più numerose che altrove (sono 6, contro le 5 di media Ocse), e soprattutto pesano i costi (il 14,2% del reddito medio, contro il 3,6% generale). Un imprenditore italiano effettua 15 pagamenti all’anno, contro i 12 di media Ocse. Impiega 269 ore (all’anno), contro una media di 175, paga tasse sui profitti del 20,3%, contro il 16,1%, ma soprattutto paga tasse e contributi sul lavoro quasi doppi che altrove (il 43,4%, contro la media del 23,1).


Un capitolo a parte merita la gestione dei fallimenti (altro punto debole tradizionale del paese): l’Italia al 33° posto ha perso tre posizioni sul 2013.
L’indicatore con peggiori performance è sui permessi per costruire (da 101 a 112). Una sorpresa amara, dopo tutte le norme che si sono succedute sulle nuove imprese (start up innovative, srl a un euro…) è rappresentata dalle sei posizioni perse in materia di aprire una società (da 84 a 90).

Qui il report completo:
http://doingbusiness.org/reports/global-reports/doing-business-2014





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