Abbiamo un elevato costo del lavoro, dovuto non alle retribuzioni dei lavoratori, ma agli oneri propri e impropri addossati al lavoro.
Abbiamo, da quando è stato introdotto l’euro, perso l’arma impropria della svalutazione competitiva.
Ma questa era una droga e dobbiamo imparare a farcela senza aiutini che alla lunga sono da annosi soprattutto per noi stessi, come ci insegna la storia recente.
Oltre a queste cause ce ne sono altre due sempre di sistema che interessano la macro e la micro economia.
In parte abbiamo perso produttività perché siamo ancora ancorati a business che hanno perso parte del loro valore aggiunto, che il mercato li paga meno, molto meno di prima.
E quindi indipendentemente da ogni miglioramento produttivo, tecnologico e organizzativo che si sia messo in campo la produttività, il valore aggiunto creato e pagato dal mercato, scende.
E qui c’è poco da fare e senza generalizzare, salvo rare eccezioni non siamo sicuramente tra i leader nell’Ict, nell’economia digitale, ma ormai neppure più nella chimica, nell’elettronica di alto o altissimo livello.
L’altro aspetto è quello organizzativo e produttivo, quello che ha a che fare con le nostre imprese e con la loro organizzazione del lavoro.
In una recente indagine che abbiamo fatto su 500 direttori del personale di imprese di varie dimensioni, ma tutte con una gestione manageriale di un certo tipo, visto che hanno all’interno dei manager e una funzione del personale presidiata da un manager, emergono alcuni interessanti spunti sul tema produttività.
In primo luogo, i direttori del personale ci hanno detto che la contrattazione collettiva è importante ma non determinante per aumentare la produttività.
Mentre hanno detto a gran voce che lo è l’organizzazione e la gestione manageriale.
La stragrande maggioranza dice di essere riuscita nell’ultimo anno ad aumentare la produttività più o meno ai livelli medi del settore.
E per farlo hanno puntato soprattutto su gestione manageriale e capacità del management, formazione e engagement e benessere dei lavoratori e che questi sono anche i fattori sui quali puntare maggiormente in futuro.
Allora ripartiamo da qua.
Strategie per stare e/o entrare nei business e nelle fasce di mercato dove si paga il valore aggiunto dato da valori materiali e immateriali.
E noi con il made in Italy siamo ben messi sul primo aspetto e messi benissimo sul secondo.
Però dobbiamo metterli a sistema.
D’altronde un campione della moderna tecnologia è la Apple, che primeggia sui concorrenti proprio per il valore immateriale e i significati che riesce a far percepire e farsi pagare dai clienti.
Un primato che va comunque continuamente rinvigorito con nuovi valori e significati, pena il venir meno del vantaggio competitivo e di prezzo ( www.melablog.it/post/67883/le-vendite-di-ipad-aumentano-ma-le-quote-di-mercato-di-apple-diminuiscono ).
Poi, e questo è indispensabile per valorizzare il primo aspetto, capacità di organizzare al meglio i nostri business, le nostre aziende, e di mettere la nostra genialità e capacità di gestire anche le situazioni più difficili al servizio delle reti globali del valore.
Noi italiani siamo campioni nel gestire incertezza, innovazione e adattabilità.
Ma se non mettiamo questi valori a sistema oggi in un mercato globale e totale siamo perdenti.
E un modo per farlo è organizzarsi meglio, cooperare, collaborare e avere le persone motivate, preparate e organizzate al meglio per fare l’impresa.
Ci vogliamo provare una volta per tutte?
Guido Carella, presidente Manageritalia
Se l'articolo ti è piaciuto, condividilo con gli amici e colleghi