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26/11/2025

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Il mito del posto fisso è finito: l'Italia scopre il "job hopping"

Gallesi (Hunters Group): le dimissioni volontarie sono raddoppiate in dieci anni e la mobilità è cruciale per la competitività aziendale

Il mercato del lavoro italiano sta vivendo una rapida e profonda trasformazione, guidata dalla crescente accettazione del job hopping, ovvero la tendenza a cambiare impiego frequentemente per esplorare nuove e migliori opportunità professionali. Questo modello, consolidato nel Nord Europa, ha preso piede anche in Italia, dove i lavoratori oggi cambiano azienda mediamente ogni due anni.
Negli ultimi dieci anni, le dimissioni volontarie sono raddoppiate, passando da un milione nel 2015 a due milioni nel 2024. Nonostante un lieve calo rispetto ai picchi registrati nell'immediato periodo post-pandemico, questo fenomeno riflette un cambiamento culturale significativo: l'idea del posto fisso non è più un obiettivo assoluto e cambiare lavoro è ormai un'azione comune. Se negli anni Ottanta un professionista cambiava impiego in media 1,5 volte nell'arco della sua carriera, le stime attuali indicano che questo numero si attesta tra i 6 e i 7 cambi.

Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, società specializzata in ricerca e selezione di personale, ha sottolineato l'evoluzione della percezione aziendale. "Storicamente si è sempre creduto che le persone dovessero iniziare e finire la propria carriera in un unico posto", ha ricordato Gallesi. "Questa visione è oggi superata. La maggiore mobilità professionale ha favorito una contaminazione di competenze e settori. Le aziende, infatti, riconoscono il valore di percorsi non lineari e ibridi, premiando chi sa integrare esperienze diverse. Mettere la persona al centro è dunque fondamentale: valorizzare background ed esperienze eterogenee contribuisce in modo significativo alla retention delle risorse", ha aggiunto l'esperta.

Il fenomeno del job hopping non tocca tutti i settori allo stesso modo. Comparti come quello tecnologico o ingegneristico, caratterizzati da un'alta richiesta di specialisti e carenza di personale qualificato, offrono numerose opportunità e rendono i lavoratori più propensi al cambio. Al contrario, nei contesti più tradizionali il ricambio risulta essere più lento e meno diffuso.
A livello geografico, si registra una disparità significativa tra le regioni del Sud e quelle del Nord Italia. Nelle regioni settentrionali, dove la presenza di multinazionali e culture organizzative è più allineata ai modelli nordeuropei, la mobilità è più alta. Questa differenza è dovuta a tre fattori principali:

- Differenza salariale: gli stipendi medi al Nord sono più elevati e offrono maggiore flessibilità finanziaria per cercare occasioni meglio retribuite.

- Maggiori opportunità professionali: il Nord vanta un tessuto economico più dinamico, con una maggiore concentrazione di industrie e settori ad alta tecnologia, che generano più percorsi di carriera e possibilità di cambiamento.
- Più elevata concentrazione di laureati: al Nord si registra un numero superiore di laureati che trovano impiego in ruoli in linea con i loro studi, favorendo una mobilità più frequente per l'avanzamento professionale.
Oltre ai fattori territoriali, le motivazioni individuali spingono la mobilità. Tra le più ricorrenti, Gallesi ha citato retribuzioni e benefit più competitivi, opportunità di crescita rapida, condizioni di lavoro meno stressanti e relazioni interpersonali di qualità. Determinante è anche la ricerca di una carriera appagante, che includa scopo, sviluppo personale e senso di realizzazione. Le aziende devono quindi orientarsi verso un cambio di paradigma, puntando su trasparenza e formazione. Un aiuto arriverà dalla Direttiva UE 2023/970, che l'Italia recepirà entro giugno 2026, introducendo strumenti per garantire equità e accesso alle informazioni retributive.


Per contrastare il job hopping e migliorare la retention, è cruciale che le organizzazioni si concentrino sui valori dei dipendenti, che vanno oltre l'aspetto economico. I dati elaborati dall'osservatorio di Hunters Group mostrano priorità diverse tra le generazioni:

- La Generazione X (1965-1980) attribuisce maggiore importanza al clima aziendale (47,5%) e al work-life balance (14,6%).
- I Millennial (1981-1996) danno priorità a welfare e work-life balance (33,8%), seguiti da clima aziendale (29,3%) e piani di crescita (21%).
- La Generazione Z (dal 1997 in poi) mostra un cambiamento radicale: clima aziendale e welfare condividono il primo posto (32,6% ciascuno), superando i piani di carriera (17,9%).


Il job hopping non deve essere interpretato come instabilità, ma come la dimostrazione che i lavoratori cercano attivamente opportunità di crescita che vadano oltre la mera sicurezza del posto fisso. "Oggi la lealtà di un lavoratore non si misura in base agli anni di permanenza in azienda, ma in termini di risultati e obiettivi raggiunti", ha concluso Gallesi. È un segnale che il successo professionale si costruisce anche attraverso il cambiamento e le competenze trasversali.

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