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29/10/2025

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Libro "Le parole giuste per promuovere un territorio. Tecniche di storytelling gentile"

Deiuri (per Maggioli Editore): le parole non sono neutre nel marketing territoriale, serve un approccio gentile e inclusivo

Un testo che insegna a narrare con cura i territori, trasformando la promozione in un atto di responsabilità. Un progetto molto interessante quello che porta la firma di Giorgia Deiuri, destination manager e social media expert, promuove territori in Italia e all'estero, unendo marketing, sostenibilità, formazione e sensibilizzazione sul turismo autentico e responsabile, dal titolo Le parole giuste per promuovere un territorio. Tecniche di storytelling gentile, edito da Maggioli Editore. Il libro è molto più di un manuale: è un invito a ripensare il modo in cui comunichiamo i luoghi e le comunità. L'Autrice ci accompagna lungo un percorso che intreccia teoria e pratica, riflessione critica e strumenti operativi. Al centro c'è l'idea che le parole non siano mai neutre: possono costruire fiducia, valorizzare identità e generare sviluppo, ma possono anche impoverire e banalizzare. Per questo il suo scritto propone un approccio basato sulla trasparenza, sull'inclusione e su quella gentilezza che rende la comunicazione non solo efficace, ma anche autentica e rispettosa. Attraverso esempi, buone pratiche e un utile glossario, l'autrice offre chiavi di lettura e metodologie per chi lavora nel turismo, nel marketing territoriale e nella comunicazione istituzionale. Una conversazione tra teoria, casi e proposte operative, dedicata a chi vuole promuovere un territorio non solo come destinazione, ma come comunità vivente, capace di accogliere, emozionare e raccontare la propria identità con gentilezza, autenticità e misura. Ne parliamo con l'Autrice.

Perché questo scritto?

"L'idea è germogliata dall'osservazione di come sempre più territori, pur avendo bellezze naturali e culturali straordinarie, facciano fatica a "raccontarsi" con efficacia, coerenza e profondo rispetto. Ho visto spesso comunicazioni belle esteticamente, ma vuote di identità; slogan che vendevano senza guardare il cuore del luogo. Il punto di svolta è arrivato durante un viaggio in Cile, lavorando a un progetto di promozione del Deserto di Atacama: un luogo apparentemente "vuoto", ma pieno di senso, dove la lentezza diventa chiave di ascolto e le imperfezioni e fragilità del paesaggio - il vento, la sabbia, le distanze, il silenzio - si trasformano in elementi di racconto autentico. Lì ho capito che ogni territorio parla attraverso le sue pause, le sue asimmetrie e la sua umanità, e che la vera comunicazione nasce dal rispetto di questi ritmi. Da quell'esperienza è maturato il desiderio di indagare un modello alternativo di comunicazione, che mettesse al centro le persone, la terra e il patrimonio invisibile - la memoria, i gesti, le relazioni - valorizzando la lentezza come metodo e non come limite, e riconoscendo nella fragilità non una debolezza, ma una forma di bellezza e verità" (Giorgia Deiuri).

Quali sono le caratteristiche della comunicazione dei luoghi e delle comunità che lei indaga? 

La comunicazione dei luoghi e delle comunità che indago si fonda su una visione complessa e sfumata, che considera il territorio non come un prodotto da promuovere, ma come un organismo vivente, composto da relazioni, memorie, linguaggi e paesaggi in costante trasformazione. È una comunicazione che unisce la profondità del racconto con la responsabilità del gesto, e che si sviluppa attorno ad alcune caratteristiche fondamentali. Narrativa multilayer. Ogni territorio non ha una sola voce, ma una pluralità di piani narrativi che si intrecciano: la storia, il presente, le persone, le tradizioni, i segni del paesaggio, la memoria collettiva. Comunicare un luogo significa costruire una narrazione a più strati - "multilayer" - in cui la voce istituzionale convive con quella delle comunità, dei cittadini, dei visitatori. È una trama di storie che si rispondono, dove il valore nasce dalla connessione tra i diversi livelli di identità, non dalla loro uniformità. Relazione prima del messaggio. Ogni comunicazione efficace nasce da un atto di ascolto. Prima di costruire slogan o campagne, occorre instaurare relazioni reali con chi abita il territorio: enti, associazioni, imprese, cittadini. Solo così si può comprendere davvero cosa il luogo desidera raccontare e in che modo vuole essere percepito. L'ascolto e il confronto diventano quindi strumenti di conoscenza, indispensabili per una comunicazione che non "parla sopra", ma "parla con". Identità radicata. La comunicazione dei territori non può rincorrere le mode o i linguaggi omologati del marketing. Deve invece partire da ciò che rende unico il luogo: i gesti quotidiani, i dialetti, i materiali, i ritmi di vita, le specificità culturali e ambientali. "Radicare" il racconto significa rispettare la verità del territorio, evitare sovrastrutture artificiali e lasciare che sia il paesaggio - naturale e umano - a dettare il tono della comunicazione. Sostenibilità comunicativa. Oggi si parla molto di sostenibilità ambientale, ma poco di sostenibilità comunicativa. Questa riguarda il modo in cui si parla e si mostra: non saturare i canali, non spingere il pubblico con messaggi aggressivi, ma accompagnarlo, invitandolo a scoprire con curiosità e lentezza. Una comunicazione sostenibile è rispettosa del tempo e dell'attenzione di chi ascolta, ed evita l'eccesso di estetica o di slogan che, nel lungo periodo, svuotano di senso anche i luoghi più autentici. Empatia e inclusività. I territori sono mosaici di voci: giovani, anziani, artigiani, nuovi abitanti, memorie dimenticate. La comunicazione empatica e inclusiva riconosce queste differenze come una ricchezza, non come un ostacolo. Si tratta di costruire ponti tra chi abita e chi visita, tra chi produce e chi racconta, tra chi è dentro e chi è fuori. Dare spazio alle storie minori - le voci che solitamente restano ai margini - significa restituire un'immagine più vera e più umana del territorio. Coerenza tra parola e azione. La comunicazione dei luoghi non può limitarsi a dichiarazioni d'intenti: deve essere sostenuta da comportamenti concreti. Parlare di sostenibilità, inclusione o autenticità ha senso solo se le pratiche quotidiane - dalla gestione ambientale ai progetti di rete, dalla tutela del patrimonio alle politiche partecipative - incarnano davvero quei valori. La coerenza diventa così una forma di credibilità: il territorio comunica ciò che fa, non solo ciò che dice.

Nel suo scritto si parla di un approccio basato sulla trasparenza, sull'inclusione e su quella gentilezza che rende la comunicazione non solo efficace, ma anche autentica e rispettosa. Ci può fare qualche esempio?

Certamente. Un esempio emblematico è quello del progetto Ambassador 5.0 di Langhe Monferrato Roero, dove la promozione territoriale è stata costruita attraverso le storie di chi vive e lavora quotidianamente in quelle colline. Invece di puntare solo su immagini da cartolina o messaggi patinati, si è scelto di raccontare la verità di quel paesaggio attraverso le voci autentiche dei produttori, degli artigiani, degli operatori culturali, che diventano ambasciatori del proprio territorio. Non "influencer", ma testimoni reali, capaci di parlare con empatia e credibilità, incarnando il valore dell'appartenenza. Questa scelta ha generato fiducia e un senso di comunità diffusa, rafforzando il legame tra il territorio e chi lo racconta. Un altro esempio significativo arriva da Villa Santina, un piccolo paese del Friuli, dove i commercianti locali hanno deciso di comunicare anche in friulano, la loro lingua. È un gesto semplice ma potentissimo: parlare nella lingua delle radici significa comunicare identità, aprendo allo stesso tempo un canale inclusivo con chi arriva da fuori, che percepisce subito l'autenticità e la fierezza di una comunità viva. È una forma di gentilezza culturale che non chiude, ma accoglie, che mostra come la diversità linguistica possa diventare un valore narrativo e un segno distintivo di marketing territoriale. A questi si affiancano esperienze più partecipative, come alcune campagne social nate dal basso, in cui il pubblico è stato invitato a "segnalare" i luoghi dimenticati, a raccontare memorie e leggende locali - senza filtri, senza edulcorazioni - diventando coautori del racconto collettivo. È un modo per restituire alle persone la possibilità di rappresentarsi, e al territorio la propria pluralità di voci. Anche negli eventi pubblici più recenti, questo approccio si traduce in modalità di dialogo più umane: "dialoghi gentili" in cui la promozione lascia spazio all'ascolto. Si utilizzano cartelloni condivisi dove i partecipanti possono scrivere riflessioni, emozioni o anche critiche, e i moderatori introducono i temi con un tono cauto e rispettoso, rinunciando al linguaggio assertivo della comunicazione commerciale. In tutti questi esempi emerge un principio chiave: la comunicazione gentile dei territori non impone un racconto, ma lo costruisce insieme. È un processo collettivo, trasparente e rispettoso, che dà voce alle fragilità e alle imperfezioni come parte integrante della bellezza. Perché un territorio autentico non si vende: si condivide, si racconta, si vive.


Come deve cambiare la formazione accademica e professionale per soddisfare queste nuove esigenze di comunicazione?

La formazione accademica e professionale deve oggi ripensarsi profondamente per rispondere alle nuove esigenze della comunicazione dei territori. Non è più sufficiente trasmettere competenze tecniche o nozioni di marketing: serve un approccio interdisciplinare, esperienziale e umano, capace di unire conoscenza, sensibilità e responsabilità. Innanzitutto, è fondamentale promuovere una interdisciplinarità reale. La comunicazione territoriale non si può comprendere se isolata da altre dimensioni del sapere: sociologia del territorio, antropologia, ecologia, psicologia ambientale e storia locale devono dialogare con la comunicazione e il marketing. Solo integrando questi sguardi si possono formare professionisti in grado di leggere la complessità dei luoghi, comprenderne le dinamiche sociali e restituirne un racconto autentico e rispettoso. A questa base teorica deve affiancarsi una didattica esperienziale e sul campo. Lezioni e manuali non bastano: occorrono progetti concreti, immersioni nei territori, workshop nei borghi, attività di co-progettazione con le comunità locali. Gli studenti devono diventare "abitanti temporanei", sperimentando la realtà dei luoghi e le loro relazioni sociali, per sviluppare uno sguardo empatico e situato. In questo scenario, assumono un ruolo centrale le soft skills, in particolare l'ascolto attivo e l'empatia. Queste competenze trasversali non sono un "di più", ma la condizione essenziale per una comunicazione autentica. Ascoltare significa accogliere le voci, i silenzi e le sfumature dei territori; significa costruire fiducia e relazioni di lungo periodo. L'empatia, invece, permette di comprendere i vissuti e le emozioni delle persone, trasformando il comunicatore in un vero mediatore culturale tra comunità, istituzioni e visitatori.


Occorre quindi una formazione più mirata?

Una formazione efficace deve allenare queste abilità attraverso laboratori di dialogo, simulazioni di processi partecipativi, esercizi di scrittura relazionale e momenti di confronto con le comunità locali. Accanto a ciò, è necessario rafforzare la dimensione etica e relazionale del mestiere: chi comunica un territorio non è un semplice promotore, ma un custode di valori. Deve saper mediare tra interessi diversi, favorire processi inclusivi, promuovere la partecipazione e la responsabilità condivisa. Un ruolo chiave spetta anche ai laboratori di storytelling e scrittura locale, luoghi in cui imparare a tradurre la complessità dei luoghi in narrazioni coerenti e rispettose. Raccontare un territorio significa saper cogliere le parole che lo abitano, non imporre linguaggi esterni: è un esercizio di sensibilità prima ancora che di creatività. Infine, la formazione deve essere continua e dinamica. I contesti comunicativi cambiano rapidamente - tra innovazioni digitali, transizione ecologica e nuove forme di partecipazione civica - e il professionista della comunicazione deve mantenere vivo un atteggiamento di aggiornamento permanente. Percorsi di mentorship, collaborazioni con enti locali, casi di studio reali sono strumenti indispensabili per coniugare teoria e pratica" conclude. In conclusione, formare oggi comunicatori di territorio significa formare persone capaci di ascoltare, comprendere e tradurre la complessità dei luoghi in linguaggi inclusivi e sostenibili. Le soft skills - l'empatia, la sensibilità, la capacità di relazione - diventano il cuore del nuovo paradigma formativo, perché solo chi sa mettersi in ascolto può davvero raccontare un territorio con verità e rispetto.


Federico Unnia
Aures Strategie e politiche di comunicazione


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