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18/06/2025

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Diritto dell'AI: Ruffolo e Amidei esplorano l'evoluzione del diritto nell'era dell'AI

Due libri che offrono un'analisi approfondita dei problemi legali posti dall'AI

L'intelligenza artificiale (AI), un'innovazione rivoluzionaria, impone ai giuristi un dialogo con altre scienze e un approccio proattivo. I due volumi di Diritto dell'Intelligenza Artificiale di Ugo Ruffolo e Andrea Amidei, editi da Luiss University Press, offrono una trattazione organica della materia; rigorosa e accessibile, frutto di studi e riflessioni condotti dai due autori negli ultimi dieci anni.
Essa spazia dalla responsabilità al contratto, dalla proprietà intellettuale e industriale alla "giustizia predittiva", dal transumanesimo all'AI generativa, fino alle prospettive di "personalità elettronica".

Come è nata l'idea di questo lavoro?


"Molto è cambiato da quando, ormai quasi dieci anni fa, ho iniziato, tra i primi in Italia, ad occuparmi della materia del "diritto dell'intelligenza artificiale". Problemi che all'epoca apparivano quasi appartenere al "fantadiritto" sono oggi diventati di bruciante attualità. Si pensi, ad esempio, all'avvento dell'AI Act, ed agli articolati doveri di compliance che impone alle imprese, tanto quelle che sviluppano sistemi di AI quanto quelle che la utilizzano come "strumento" della propria attività. Ma si consideri anche l'avvento dell'AI generativa, che costituisce più recente "salto della specie" rispetto all'AI narrow e "specializzata", che già ci sembra preistoria".

Regole o self-regulation: qual è la sua opinione in proposito?

"Una cosa è certa: non dobbiamo cedere alla tentazione di coniare la "legge del cavallo", ed dunque di ritenere che a ogni fenomeno nuovo debbano necessariamente corrispondere leggi nuove e settoriali. In sede europea si sta affermando la tendenza a confinare gran parte degli interventi normativi alle tematiche prettamente regolatorie, con discipline volte a dettare, a monte, standard tecnici e regolamentazioni operative - si pensi al recente AI Act - limitando, invece, il ricorso a innovazioni normative settoriali in materia di responsabilità degli operatori per danni cagionati da sistemi "intelligenti".
Ritengo, ad esempio, opportuna la scelta di distinguere gli "issues of liability" dagli "issues of permittance", ove per i primi pare possibile delegare il ruolo di mediazione giuridica alla interpretazione della esistente disciplina generale di responsabilità (dalle norme codicistiche a quelle di product liability, recentemente innovate dalla Direttiva 2024/2853)".


Quali problemi pone la creatività non umana e il diritto d'autore?

"In materia di diritto d'autore l'AI generativa pone un problema duplice, anch'esso affrontato nei volumi: da un lato, quello su copyright o brevettabilità per le opere o invenzioni realizzate "dalla macchina" e, dall'altro, quello della pretesa violazione di copyright per le opere "umane" che la macchina elabora per "addestrarsi". Da un canto, dobbiamo dunque domandarci se l'opera dell'ingegno (ma analoghi quesiti si pongono, seppur in modo parzialmente differente, per le invenzioni industriali) creata, in modo autonomo (ma quanto autonomo?) dall'AI possano, sulla base delle vigenti norme, godere di tutela autoriale - e, in caso positivo, in capo a chi e con quali limiti - oppure se esse cadano, dal momento della loro creazione, in pubblico dominio. Il quesito è centrale, soprattutto in tempi di AI generativa: pensiamo a come una eventuale risposta negativa rischi di frustrare gli investimenti, anche ingenti, di chi abbia sviluppato un sistema di AI "creativo" o di chi lo abbia "acquistato" per utilizzarlo nell'ambito di una attività creativa; senza contare i potenziali effetti, a livello di sistema, in termini di disincentivo allo sviluppo scientifico e tecnologico. Su altro versante, ci si domanda se ed entro quali limiti di liceità l'AI possa, nel corso del suo "addestramento", e a tal fine soltanto, elaborare e processare contenti (testi, immagini, audio, video) coperti da diritto d'autore in assenza di un espresso consenso del titolare del relativo copyright, o senza riconoscere a quest'ultimo una qualche forma di corrispettivo. Sono i quesiti sollevati, negli USA, ad esempio, dalla nota class action promossa dal New York Times nei confronti di OpenAI".

Creatività da AI e diritti d'autore: quale soluzione è secondo lei prospettabile?

"Il problema è complesso, e impone in primo luogo di riflettere su cosa si intenda per "carattere creativo" dell'opera, e se tale attributo possa predicarsi per opere AI-generated. Sulla base sia delle tendenze normative, sia delle prime pronunce (anche straniere) che iniziano a rendersi sul tema, larga parte del problema sembra attenere al livello di apporto umano nell'atto creativo, distinguendosi così tra opere AI-generated (quelle sviluppate in modo autonomo dalla macchina) e opere AI-assisted (per la realizzazione delle quali l'AI funge da mero strumento nelle mani dell'autore umano). Anche la nostra Cassazione, in una nota pronuncia, sembra avere avallato una tale distinzione. E il tema è oggetto anche di una norma contenuta in un disegno di legge attualmente all'esame del Parlamento. A mio avviso, dobbiamo assumere una prospettiva antropocentrica, ma mai antropomorfa. E riconoscere che possono esistere diverse forme di "creatività", e che la giurisprudenza europea riconosce rilevanza, ai fini dell'accordare protezione ad opere dell'ingegno, anche a un intervento quasi residuale dell'essere umano (quale potrebbe ben essere la selezione dei prompt da sottoporre all'AI o degli output generati dalla macchina). E, se riconosciamo la proteggibilità dell'opera creata dall'AI, occorre distinguere tra diritti morali e diritti patrimoniali d'autore: se quelli i primi non sembrerebbero, allo stato, poter competere a soggetto diverso dalla persona fisica, quelli patrimoniali non potrebbero non far capo a chi gestisce, o utilizza, o programma la macchina".


Arriveremo a casi di lite tra due algoritmi generativi su un presunto plagio?

"Dobbiamo distinguere fra quello che sarebbe plagio letterario, oppure citazione non debitamente documentata, o irregolare edizione di rassegna stampa, se compiuta da autore umano, e quanto sarebbe da considerare, invece, mero "apprendimento" robotico originato dalla "lettura" di scritti editi (pubblicati, appunto, per essere "letti"), quando omologo a quello umano. In quest'ultimo caso, a mio avviso non si potrebbe imputare alla macchina una illegittima apprensione di dati e non corretta utilizzazione d'essi per "addestrarsi". La intelligenza umana e quella della macchina sono diverse. Ma va considerato che entrambe "funzionano" sulla base dell'autoapprendimento. E che giornali, libri, stampati, prodotti grafici o filmici sono "pubblicizzati" perché offerti al "pubblico" apprendimento (ancorché coperti da copyright in varie misure). Non contengono dati riservati ma vengono offerti, appunto, alla apprensione di chi li legge perché da essi "impari".


Tali opere vengono pubblicate affinché sulla base di esse ci si possano formare conoscenza e opinioni; e si ha il diritto di comunicare le opinioni e conoscenze formate anche grazie al processo di apprendimento: certo, non "plagiando", come copia o parafrasi pedissequa, i brani "appresi", però potendo tener conto della conoscenza loro tramite acquisita. I termini di violazione d'ogni ipotizzabile copyright dovrebbero restare dunque gli stessi per le macchine come per gli umani. Entrambi possono formarsi e "allenarsi", e crescere imparando, sulla scorta di metabolizzate letture. Entrambi vengono in tal modo "informati". Entrambi violano i diritti d'autore relativi ai testi letti solo se illecitamente li "copiano" o riproducono; ma non se, invece, "ne tengono conto" (e debitamente citano le fonti quando dovuto) nel comunicare elaborando testi "propri". La questione della legittimità del processo di apprendimento della macchina che "legge" le altrui opere coperte da copyright (non per plagiarle, ma solo) per imparare potrebbe porsi forse su un altro fronte. Eventuale problema potrebbe emergere in relazione al caso - molto differente - di eventuale "riproduzione" indebita delle opere "lette", per "imparare", dall'AI, quanto a meccanismi di "memorizzazione" sotto forma d'una sorta di registrazione riproduttiva di testi (quale potrebbe essere, per fare un lato parallelismo antropocentrico, la fotocopiatura - o altra riproduzione - integrale d'un volume a stampa per arricchire la propria privata biblioteca, e la personale capacità di consultazione da parte di un privato, in vista di proprie attività di studio)".


Ha senso parlare di un giudice artificiale per le controversie intorno all'AI generativa?

"In materia di giustizia, dovremmo forse porci un interrogativo più ampio, anch'esso affrontato nei volumi, ossia quello relativo alle prospettive di impiego dell'AI nell'attività giudiziaria, e in particolare al supporto che l'AI può fornire al giudice umano nella soluzione di controversie anche non relative all'AI stessa. Si tratta di tema complesso, molto dibattuto ed affrontato anche, in Italia, dal disegno di legge sull'intelligenza artificiale attualmente all'esame del Parlamento. L'AI generativa può rendere i buoni programmi di giustizia predittiva sempre più affidabili, e dunque potenzialmente utili sia nella funzione di preventiva "consulenza robotica" demandabile ad algoritmi "consultati" come "esperti degni di fiducia", sia in quella di ausilio al giudicante nella successiva fase del giudizio (è, quest'ultimo, il tema della c.d. "sentenza robotica"). Dovrebbe conseguirne - e il nostro legislatore nazionale dovrebbe tenerne conto - da un canto la piena possibilità di utilizzazione ancillare della AI nel processo anche in fase decisoria; e dall'altro le doverose cautele, e i profili sia di necessaria regolamentazione che di responsabilità. Con riguardo, in particolare, allo scenario della "sentenza robotica", nel rinviare ai più ampi rilievi esposti nei volumi, mi limito a specificare che la mia proposta si spinge sino alla ritualizzazione del ruolo della macchina quale ausilio del giudice umano, assegnandole la veste, potremmo dire, di una sorta di "Avvocato Generale robotico", le cui "conclusioni" costituiscano un "parere" obbligatorio ma non vincolante; un progetto di sentenza che il giudice umano resta libero di disattendere, ma con decisione motivata".


Da grande conoscitore della storia e dei pregi dell'autodisciplina: arriveremo ad un giurì della lealtà dell'intelligenza artificiale?

"Dobbiamo considerare che già l'AI Act valorizza il ruolo di codici di condotta e di forme organizzate di "autodisciplina di settore" nella regolazione, o co-regolazione, dell'AI. Quantomeno per l'Italia, un modello può essere individuato proprio nell'illustre precedente dell'autodisciplina pubblicitaria, nata per iniziativa di operatori del settore per dotarsi (ed dotare lo stesso settore) di regole di condotta nel rapporto tra imprese e consumatori, con una forte connotazione "etica", anche al fine di preservare la stessa credibilità dello strumento pubblicitario. In quel caso fu coniato, nella cornice di un Istituto di natura privata (l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria - IAP), su base adesiva, un apposito Codice di Autodisciplina, il cui rispetto è verificato da organi autodisciplinari (Giurì e Comitato di Controllo). Iniziative omologhe potrebbero, quindi, mutatis mutandis, trovare terreno fertile anche fra i soggetti variamente operanti nel settore dell'AI - produttori, fornitori e utilizzatori - i quali potrebbero, così, avere essi stessi interesse a realizzare, all'interno di un complessivo settore economico, un sistema di controllo privato, con norme "autoprodotte", idonee a recepire altresì le specifiche peculiarità tecniche di settore; e che disciplinino nel dettaglio una molteplicità di comportamenti individuali dei singoli operatori, nell'interesse anche generale, con funzione integrativa rispetto alle normative eurounitarie e nazionali. E che ben potrebbero dotarsi altresì di un connesso sistema di enforcement autodisciplinare". 

Federico Unnia


Aures Strategie e politiche di comunicazione


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