Editoriale
La sanità non è un business (o forse sì)
La sanità italiana vive un paradosso mortale: mentre discutiamo di diritti costituzionali, ignoriamo volutamente i numeri che annunciano il collasso del sistema. Una forma di rimozione collettiva che rischia di costare carissima al Paese. Le liste d'attesa ormai sono diventate impossibili.
I dati dello studio dell'Associazione Peripato e Fondazione Anthem fanno paura: 24 milioni di italiani convivono con malattie croniche, 12 milioni ne hanno almeno due. Nel 2030 i non autosufficienti cresceranno del 25%, raggiungendo i 5 milioni. La spesa per l'assistenza a lungo termine supera già i 17 miliardi, il doppio dell'intero sistema universitario nazionale.
Mentre l'Europa accelera sulla Digital Medicine e le terapie digitali, l'Italia resta ferma.
Altri Paesi investono massicciamente in intelligenza artificiale per la prevenzione di precisione, noi ci perdiamo in vincoli burocratici sulla privacy.
Il risultato? Un sistema che cura invece di prevenire, sprecando risorse e vite umane.
La Germania ha già adottato coperture assicurative sociali regolate dallo Stato. La Francia punta su tecnologie predittive per stratificare la popolazione a rischio. L'Italia continua a fingere che il problema non esista.
Il nostro modello è evidentemente insostenibile e penalizza tutti, a partire dai più fragili.
Senza una rivoluzione digitale del sistema sanitario, senza integrazione pubblico-privato e senza il coraggio di affrontare la realtà dei numeri, il Servizio Sanitario Nazionale rischia il default sociale prima ancora che economico.
Il problema è che la bilancia pende verso il privato e così non può funzionare.