I dazi: un'arma a doppio taglio che non sempre centra il bersaglio
La retorica protezionistica promette di riportare la produzione in patria, ma la realtà economica racconta una storia diversa. I dazi, strumento prediletto delle politiche commerciali aggressive, spesso mancano l'obiettivo di rilocalizzare le attività produttive.
Il caso Apple è emblematico: per il colosso di Cupertino risulta economicamente più vantaggioso assorbire un dazio del 25% sugli iPhone venduti negli Stati Uniti piuttosto che sostenere i costi astronomici di delocalizzare l'intera catena di assemblaggio. I margini di profitto dell'azienda californiana sono talmente elevati che l'impatto tariffario diventa un costo marginale, facilmente trasferibile sui consumatori finali.
Questa dinamica evidenzia il paradosso delle guerre commerciali moderne: mentre i governi brandiscono i dazi come deterrente, le multinazionali li metabolizzano come un nuovo parametro di business.
Il risultato?
Prezzi più alti per i consumatori, nessuna rilocalizzazione produttiva e, spesso, una perdita netta di competitività per l'economia domestica.
I dazi rischiano di diventare un boomerang che colpisce chi li lancia.