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16/04/2025

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Gigi Beltrame

Dazi, Manifattura e servizi: qual è la risposta?

L'amministrazione statunitense aveva già imposto dazi nel 2018, ma la vera opportunità è nell'integrazione tra manifattura e servizi

Nel 2018, l'amministrazione guidata da Donald Trump impose dazi su acciaio, alluminio e beni importati dalla Cina, innescando una guerra commerciale globale. L'obiettivo dichiarato era rilanciare il settore manifatturiero americano. Tuttavia, a distanza di anni, ci si chiede se la risposta a quelle politiche protezionistiche risieda effettivamente nel rilancio industriale o se l'opportunità si celi nel settore dei servizi.
I dazi di Trump colpirono merci per oltre 300 miliardi di dollari, con l'intento di frenare la delocalizzazione e riportare le fabbriche in patria. L'esito fu un aumento dei costi per le aziende statunitensi, ritorsioni internazionali e un dibattito ancora aperto. Il contesto globale è mutato con la pandemia, le crisi delle supply chain e l'ascesa dell'Intelligenza Artificiale (AI). È quindi necessaria una strategia che vada oltre la semplice contrapposizione tra fabbriche e uffici.


La difesa del settore manifatturiero riveste un valore sia simbolico che pratico. Settori come la microelettronica, le energie rinnovabili o la difesa sono vitali per la sicurezza nazionale. Senza una capacità produttiva autonoma, un Paese diventa dipendente da altri. Tuttavia, concentrarsi esclusivamente su questo aspetto è rischioso: le catene del valore sono globali e riportare interi comparti in patria richiede decenni. Inoltre, i robot sostituiranno sempre più posti di lavoro manuali.
Gli Stati Uniti primeggiano nei servizi finanziari, nel cloud computing e nell'intrattenimento digitale, settori ad alto margine e meno esposti ai dazi, dove la concorrenza cinese è ancora indietro. Esportare software, formazione e tecnologie green genera profitti senza necessità di spedizioni via mare. Tuttavia, servizi come Netflix o i corsi universitari online richiedono un mondo interconnesso, e i dazi sono sostituiti da barriere normative, controllo dei dati e standard tecnologici.


La vera sfida non consiste nello scegliere tra manifatturiero e servizi, ma nell'integrare i due mondi. Tesla, ad esempio, produce un'auto, un prodotto fisico, ma il suo valore aggiunto risiede nel software, nei servizi di autonoleggio digitale e nell'ecosistema di ricarica. Analogamente, una fabbrica "4.0" si basa su analisi dei dati, formazione continua e manutenzione predittiva, ovvero servizi integrati alla produzione. La risposta ai dazi risiede quindi in un modello ibrido: rafforzare nicchie industriali strategiche ed esportare al contempo conoscenza e innovazione.
È necessario adottare politiche che formino sia ingegneri che data scientist, che proteggano i brevetti e aprano mercati digitali. In un'era di transizione energetica e AI, il confine tra fabbrica e servizio è sempre più labile. La prossima guerra commerciale non si combatterà con i dazi, ma con chi controllerà gli standard del 5G, i protocolli per l'idrogeno verde o le piattaforme di finanza decentralizzata. In questo scenario, saranno necessari sia chip che algoritmi.

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