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05/03/2025

EDITORIALE
Nel panorama imprenditoriale contemporaneo, le aziende che operano nell'alta tecnologia rappresentano un affascinante paradosso: entità commerciali che, anziché cristallizzarsi attorno a prodotti definiti, esistono in uno stato di perpetua evoluzione. Questo modello di business ricorda sorprendentemente l'opera secolare della Fabbrica del Duomo di Milano, un'istituzione che da oltre sei secoli persegue un ideale di perfezione in continuo divenire.
Mi vengono in mente le parole dell'architetto Brivio che, nel 1993 rispondendo a una mia richiesta folle di costruire un'impalcatura sulla facciata del Duomo per una raccolta benefica, mi disse "se vogliamo farlo, si può fare, noi facciamo cose continuamente, non ci fermiamo mai".
Fare senza fermarsi mai: questa è la caratteristica di chi lavora nell'innovazione.
Per comprendere questa trasformazione, dobbiamo guardare alla storia recente dell'imprenditoria. Negli ultimi due secoli, il concetto dominante di azienda si è concentrato sulla produzione di massa, crei qualcosa e poi lo riproduci standardizzando i processi, una sublimazione costante del pensiero di Henry Ford.

Questo paradigma ha generato colossi industriali e vasti ecosistemi di servizi correlati, alcuni celebrati per le loro innovazioni, altri criticati per i loro impatti.
Di fatto questo modello è entrato in crisi perché la crescita non può essere infinita, non puoi produrre sempre di più all'infinito, basta una piccola innovazione non colta e il rischio di vedere tutto andare in fumo è molto reale, inutile citare i casi di studio.
Oggi, le aziende tecnologiche d'avanguardia, particolarmente quelle nel campo dell'intelligenza artificiale, stanno ridefinendo cosa significhi essere un'impresa. Come la Fabbrica del Duomo, non considerano mai il loro lavoro completato. Il prodotto finale non è un oggetto tangibile e immutabile, ma un processo in continua evoluzione.
Queste aziende operano come moderne cattedrali digitali, dove ingegneri, scienziati e visionari si susseguono nel perseguimento di un obiettivo che trascende il singolo prodotto. Il loro lavoro non è mai veramente "finito" - è semplicemente in uno stato diverso di completamento, pronto per la prossima iterazione, il prossimo miglioramento.


Google ha estremizzato questo approccio nel tempo, con beta dei propri servizi durate anni e i servizi cloud, il Software as a Service (Saas) ne sublima gli effetti mentre gli utenti non si accorgono spesso di quanta innovazione venga costantemente inserita nei prodotti che usano.
Prendiamo ad esempio le aziende che sviluppano modelli linguistici avanzati o sistemi di visione artificiale. I loro algoritmi vengono costantemente raffinati, addestrati su nuovi dati, adattati a nuovi contesti. Non esiste una versione "definitiva" - solo una continua progressione verso capacità sempre più sofisticate.
La cosa che sconvolge maggiormente chi non ha dimestichezza con questo modo di operare è che convivono tecnici informatici, matematici, fisici, ma anche tante figure con una preparazione umanistica, per assemblare dati, condurre test, definire i campi di azione. 
Il tutto in organizzazioni snelle e non piramidali, per cui chi ha una formazione tradizionale ne fatica a comprendere i benefici e gli effetti.

 
Come se non bastasse, queste aziende innovative sembrano davvero, e non solo per narrazione, delle fabbriche di giocattoli, dove si lavora per costruire qualcosa che sorprende molto spesso i propri creatori e per i fruitori sembra qualcosa più vicino alla magia che alla rigida matematica, fisica o statistica.
I laboratori producono innovazioni che solo pochi anni fa sarebbero sembrate fantascienza: assistenti virtuali che comprendono il linguaggio umano, algoritmi che generano arte originale, sistemi che prevedono le strutture proteiche.
L'obiettivo ultimo è diffondere queste innovazioni, renderle accessibili e integrarle nel tessuto della società e molto spesso senza un reale modello di business per il ritorno degli investimenti. Anche questo sconvolge chi ha una preparazione tradizionale al business.
C'è anche un elemento di rischio in questo modello: i progetti falliscono, le tecnologie si rivelano problematiche, gli investimenti non producono i risultati sperati.



Ma è proprio questa disponibilità ad abbracciare l'incertezza che distingue queste organizzazioni. Il fallimento non è visto come un esito negativo definitivo, ma come un passaggio necessario nel processo di scoperta e perfezionamento.
Questo modello di business rappresenta una profonda rottura con la concezione tradizionale dell'impresa.
Anziché ottimizzare la produzione di beni definiti, queste aziende ottimizzano la loro capacità di evolversi, adattarsi e reinventarsi continuamente.
Come la Fabbrica del Duomo, che ha attraversato secoli di cambiamenti politici, sociali e tecnologici mantenendo intatta la sua missione fondamentale, le moderne aziende tecnologiche sono progettate per la longevità attraverso la trasformazione costante. Non si tratta solo di costruire prodotti, ma di coltivare ecosistemi di innovazione che possano prosperare in un futuro incerto e in rapida evoluzione.



In questo senso, non sono semplicemente aziende, ma diventano istituzioni culturali che plasmano il nostro rapporto con la tecnologia e, per estensione, il nostro futuro collettivo.




Gigi Beltrame


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