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06/07/2022

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Fabrizio Guelpa (Intesa Sanpaolo): continua la crescita dell'Italia dei distretti

Rispetto ad altre aree del Paese presentano un maggior tasso di internazionalizzazione, ma anche capacità di export e innovazione (brevetti). Occorre migliorare su consolidamento dimensionale, investimenti e ricambio generazionale

Forte rimbalzo del fatturato nel 2021: +25,2%, il 4,3% in più rispetto al 2019. Buon contributo dell'export, che lo scorso anno ha sfiorato la cifra record di 133 miliardi di euro.
Conferme dell'alta competitività dei Distretti dai dati di commercio estero del primo trimestre del 2022: +19,3%, spiegato solo in parte dall'aumento dei prezzi alla produzione.
Spicca un nucleo di imprese distrettuali "champion": se ne contano 845 (il 4,7% del totale) e sono più diffuse tra i soggetti medio-grandi e in alcuni settori, come agro-alimentare e meccanica.
È in accelerazione l'adozione di tecnologie Industria 4.0, soprattutto tra le aziende medio-grandi (tre su quattro); più in ritardo le imprese micro (poco più di una su cinque).
Sale la sensibilità alla transizione ecologica, ma si può fare di più: nel legno-arredo nell'ultimo triennio poco meno di un'impresa su tre ha acquistato macchinari che riducono il consumo energetico. Questi sono i principali dati emersi dal quattordicesimo Rapporto annuale su economia e finanza dei distretti industriali di Intesa Sanpaolo.


Li abbiamo commentati con Fabrizio Guelpa, Responsabile della Ricerca Industry & Banking di Intesa Sanpaolo.

L'export è sempre stato un punto di forza dei distretti. Come è andato nel 2021?


L'export è cresciuto moltissimo nel 2021, recuperando sostanzialmente quanto si era perso nell'anno precedente. A livello di crescita nei distretti c'è stata una crescita poco inferiore al 20%, molto diffusa a livello settoriale. Era in parte attesa poiché il crollo del 2020 era dovuto a fattori legati alla pandemia; segnala una forte capacità di reazione e di forte competitività. Non era assolutamente scontato che si riuscisse a recuperare a tassi di crescita di questo genere. Tassi che si stanno confermando anche dagli ultimissimi dati che abbiamo sul primo trimestre del 2022. Siamo anche in questo caso prossimi a un +20% sul medesimo trimestre del 2021.

Possiamo fare un'ipotesi per quest'anno?


Andrà meno bene di quanto ci si poteva aspettare fino a pochissimo tempo fa, con numeri difficili da leggere perché l'aspetto prezzi sarà particolarmente importante.

L'ordine di grandezza del fattore prezzi in Italia è difficile da stimare, ma siamo comunque sempre intorno ad una crescita intorno al 20%, quindi abbiamo numeri a valore particolarmente importanti. Anche dal punto di vista dei volumi ci aspettiamo una crescita abbastanza rilevante, grazie alla competitività e ad una domanda mondiale meno dinamica di quanto ci si poteva aspettare fino a qualche settimana fa, ma comunque con tassi ancora positivi. Il Pil europeo quest'anno dovrebbe crescere intorno al 3% e grossomodo la metà delle nostre esportazioni è all'interno dell'eurozona.

Come è cambiata la supply chain per i distretti nell'epoca della pandemia?


Ci sono fattori di cambiamento. Un primo fattore scatenante è la difficoltà a far arrivare le materie prime, e questo ha creato una reazione pressoché istantanea, che ha portato a ricercare all'interno del territorio nazionale dei fornitori alternativi. Questo lo vediamo nei numeri che abbiamo a disposizione: la distanza media di fornitura dentro il sistema nazionale è aumentata, il numero dei fornitori interni è aumentato, mettendo una sorta di pezza a questa difficoltà.

Poi c'è un problema più strutturale sul fronte degli approvvigionamenti: il pericolo di pandemie è sempre dietro l'angolo e non pensavamo fosse così fino a pochissimo tempo fa, così come i rischi geopolitici non erano nelle ipotesi. Questo pone il problema di accorciare le catene di fornitura nel nostro continente. Non è facilissimo, ma molte imprese ci stanno pensando.

Questa per l'Europa e per l'Italia è una sorta di reshoring.


Nel passato molte imprese hanno operato sull'estero da due punti di vista: il primo posizionando all'estero delle proprie partecipate, per servire il mercato locale ed eventualmente importare in Italia. Il secondo, affidandosi completamente ad imprese esterne e sostanzialmente comprando il componente in Cina piuttosto che in Romania o in Turchia. In entrambi i casi si sta un po' ripensando la strategia, cercando di avere fornitori o delle controllate un pochino più vicino. Sul fronte dei fornitori è relativamente più facile. Spostare controllate dalla Cina a Spagna o Portogallo è più complesso.



Quali sono i punti di forza dei distretti emersi dal vostro Rapporto?


Sono abbastanza tradizionali. C'è il fronte della brevettualità, che indica una capacità di innovare superiore rispetto ad altre aree. C'è poi un discorso di qualità confermata dal marchio, un qualcosa di giuridico che segnala che c'è qualità e distintività del prodotto. Inoltre la capacità di operare sui mercati internazionali attraverso investimenti importanti - in alcuni casi diretti -, anche in comunicazione se parliamo di export.
Questi fattori continuano ad essere nettamente superiori alle altre nostre aree del Paese e dovrebbero confermare delle buone performance anche per il futuro, poiché il mondo sarà comunque più trainato dalla domanda internazionale rispetto a quella interna, e la qualità e l'innovazione saranno comunque premianti.

Quali sono le aree di miglioramento?


Sono numerose. Riguardano il mondo degli investimenti e del capitale umano. Bisogna poi assolutamente accelerare sul fonte dell'Industria 4.


0, Ci sono stati dei miglioramenti nel corso degli anni e si sono affacciati temi nuovi: fino a pochissimi anni fa nessuno sapeva cosa fosse l'Internet of Things (IoT) o stampanti 3D. Queste cose si stanno introducendo e gli incentivi degli ultimi anni hanno aiutato. E' anche vero che c'è un tasso di introduzione asimmetrico tra imprese grandi e imprese piccole, ma è naturale che sia così. Comunque questo è un fronte su cui lavorare così come su quello di soluzioni veramente avanzate e non di routine. Parliamo di collaborazione con le università, che possono essere particolarmente utili.
Parlando del capitale umano, bisogna investire un po' tutti. Il sistema scolastico e universitario fornendo quelle professioni di cui c'è bisogno. Le aziende investendo sulla formazione, poiché la stragrande maggioranza dei lavoratori è già all'interno e richiede un reskilling importante, per quanto sia possibile.

E a livello di Governance?


Altro tema fondamentale. In Italia abbiamo aziende i cui vertici sono relativamente "vecchi".


E' un punto di debolezza poiché di fronte ai grandi cambiamenti avere un vertice anziano è un punto di difficoltà. E' anche vero che se si vuol vedere la questione da un altro punto di vista, c'è la possibilità di affrontare il nodo del ricambio generazionale, e avere quindi in tempi relativamente rapidi un cambio di rotta.

Distretti e PNRR: che occasione rappresenta?


Il PNRR è indubbiamente una grossa sfida perché può cambiare il nostro Paese in modo veramente radicale. Dal punto di vista delle imprese e delle filiere si può assistere ai cambiamenti che fanno gli altri o essere in prima persona attori del cambiamento. Nel primo caso penso a tutti i sistemi di trasporto veloce o a quelli legati all'infrastruttura dal Paese. Ma è anche vero che ci sono moltissime cose che possono fare le aziende. La nostra percezione è che allo stato attuale non siamo moltissime quelle che hanno compreso che si tratti di un'occasione per molti casi veramente irripetibile.

L'esplosione dei prezzi dell'energia ha riportato in auge il tema dell'autosufficienza.


Che ruolo possono assumere le comunità energetiche?

Si tratta di una figura giuridica normata nel nostro Paese, che ha una parte dei finanziamenti del PNRR, che consiste essenzialmente nella possibilità che più soggetti si mettano assieme (privati, enti locali piuttosto che imprese) e si fanno carico proquota di autoprodurre energia rinnovabile da autoutilizzare e vendere al gestore elettrico le eccedenze. E' una cosa pionieristica, che vede in Italia una ventina di realtà soprattutto di enti locali, ma che potrebbe esser funzionale per determinate esigenze, quando le dimensioni dell'impianto non sono minimali e può esser gestito da una singola impresa.


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