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15/06/2022

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Andrea Scaffidi (WTW): aziende e le nuove sfide del mercato del lavoro

Welfare, più flessibilità, migliore retribuzione, riconoscimento del merito, e in generale una maggior attenzione delle imprese alle rinnovate esigenze dei lavoratori, sono le richieste più diffuse. E adesso c'è il nodo dell'inflazione

Il mondo del lavoro è cambiato. Lavoro ibrido, welfare, Great resignation, voglia di conciliazione tra vita lavorativa e privata, ricerca e trattenimento dei talenti, cambiamento della funzione HR, e infine lo spettro dell'inflazione sulle buste paga. Sono alcuni dei temi che abbiamo affrontato con Andrea Scaffidi, Head of Retirement e Total Reward & Executive Solutions Director di WTW.

Si parla spesso di Great Resignation. Cosa spinge le persone a lasciare il proprio posto di lavoro in un momento particolare come questo, tra la fine di una pandemia e l'arrivo di una più che probabile crisi economica?


Con la Global Benefits Attitudes Survey 2022 di WTW (Willis Towers Watson), abbiamo rilevato che l'attaccamento dei lavoratori al proprio datore di lavoro rimane elevato, ma molti dipendenti si stanno guardando intorno alla ricerca di nuove opportunità. Il rischio di uscita è particolarmente alto tra il personale senior. Il 50% dei senior manager, infatti, cerca o è aperto a nuove opportunità. Se si guarda il genere, su tutti i dipendenti, è quello femminile più orientato a cambiare lavoro (35% contro il 30% maschile) mentre in merito all'età, la più propensa è la generazione Y, ovvero i millenials, i nati tra la metà degli anni '80 e la fine degli anni '90 (37%, contro il 26% registrato dai Boomers, che hanno oggi tra i 56 e i 75 anni).


Chi guarda a nuove opportunità è per lo più chi ha una seniority inferiore ai cinque anni (il 42% contro il 26% con dieci o più anni di esperienza nella stessa azienda). Lo stipendio resta ad oggi l'elemento cruciale sulla quale si basano le scelte di rimanere o voler cambiare azienda, dove il 40% dei dipendenti che percepiscono un salario inferiore ai 25.000 euro cercano di cambiare, e solo il 24% se percepiscono dai 40.000 euro in su.
La sicurezza del lavoro è un fattore chiave per attrarre e trattenere i talenti, insieme ai pacchetti di benefit che, se soddisfano le esigenze dei dipendenti e forniscono un'esperienza migliorata, si traducono in una forte fidelizzazione. Se non viene concessa invece la flessibilità sul lavoro, specialmente la generazione Y è spinta a cercare altrove.

Eppure, secondo una vostra survey, sette dipendenti italiani su dieci vogliono mantenere il posto di lavoro attuale per i prossimi due anni. Perché?


E' vero e corrisponde al 68% dei dipendenti intervistati nell'Attraction and Retention Study di WTW che ha registrato una percentuale maggiore rispetto a quella osservata nel periodo pre-Covid, nel 2019 (60%).

In sostanza lo studio evidenzia che i dipendenti che hanno visto la loro azienda impegnata a tutelare il loro benessere durante la pandemia tendono a restare, oltre che ad essere produttivi e impegnati.
Molte persone vogliono quindi mantenere il posto di lavoro attuale per i prossimi due anni: potrebbe sembrare strano, ma riflette un desiderio di stabilità alla luce del periodo difficile e incerto che abbiamo passato. È molto più probabile che le aziende che hanno adottato solide politiche di welfare durante la pandemia possano beneficiare di una forza lavoro più produttiva, in cui il turnover del personale ed episodi di assenteismo sono meno frequenti. Comprendere e aiutare le persone, andando incontro alle loro esigenze di benessere, può ottenere vantaggi concreti per un'azienda, e questa dinamica continuerà anche negli anni futuri.

Il remote working è controverso. Quali sono i reali vantaggi per aziende e lavoratori, e quali sfide dovranno affrontare le imprese?


I lavoratori italiani vogliono in realtà lavorare da casa più di quanto ritengono potranno effettivamente fare. Secondo la ricerca Remote Working di WTW, un dipendente su tre (il 32%) ha infatti dichiarato di preferire sempre o prevalentemente il lavoro da remoto, ma solo il 14% si aspetta di poterlo fare, mentre il 30% ha detto di preferire una divisione equa tra giorni di lavoro da remoto e in presenza.



Le aziende devono comprendere le esigenze dei dipendenti, se vogliono attrarre e trattenere i talenti. È più probabile che proprio le persone che desiderano più flessibilità rispetto a quanta ne hanno, siano quelle che vogliano cambiare lavoro, che abbiano performance più basse o soffrano di burnout.
Il lavoro da remoto è diventato un fattore fondamentale all'interno di un mercato del lavoro altamente competitivo. Il 37% delle persone che vorrebbero lavorare da remoto, ma che non lo possono fare, ha dichiarato di voler cambiare lavoro. Le politiche di lavoro flessibili costituiscono ora il terzo fattore più importante per attrarre i talenti, solo dopo la retribuzione e la sicurezza del posto di lavoro.
Il remote working ha i suoi vantaggi e svantaggi, quindi se una persona apprezza una maggiore flessibilità, ad un'altra potrebbe mancare l'ambiente di lavoro e lo spirito di squadra che si crea in ufficio. I datori di lavoro devono supportare il proprio team e trovare il giusto equilibrio per massimizzare l'engagement e il benessere dei dipendenti e creare le condizioni perché ci siano opportunità di sviluppo per le persone anche nel "new way of working".




Aziende e welfare. Dopo la pandemia, quali sono le tendenze nel nostro Paese? Ci sono differenze rispetto al resto d'Europa?


La pandemia ha rivoluzionato il nostro modo di stare in azienda: le persone hanno avuto e avranno ancora bisogno di essere supportate. Come dicevo, dalla nostra ricerca Attraction and Retention è emerso come i dipendenti italiani che hanno visto la loro azienda impegnata a tutelare il loro benessere durante la pandemia tendono a restare: questo perché riconoscono un valore aggiunto all'azienda, e le restituiscono maggiore fiducia e un maggiore impegno a portare avanti gli obiettivi aziendali. E non si parla solo di attenzione al benessere fisico: il valore del benessere emotivo e mentale è diventato priorità assoluta per i datori di lavoro dopo la pandemia, quando si è registrata una sovraesposizione dei dipendenti al digitale che ha implicato nuove regole e paradigmi anche all'interno dell'ambiente lavorativo. Questo vale sia nel nostro Paese che nel resto d'Europa, come nel mondo: il benessere dei dipendenti è un'importante priorità per l'80% delle aziende che abbiamo intervistato a livello globale.


Una presa di coscienza che include la comprensione del costo e del valore delle persone, ma soprattutto del loro benessere emotivo e fisico.

Dal vostro punto di vista, come è cambiata la funzione HR? Quali sfide deve fronteggiare?


Oggi si parla di un approccio integrato alla salute di una persona che lavora: la salute in senso lato dei dipendenti non è più solo responsabilità del medico, ma diventa anche dell'HR Manager. I rischi in cui i dipendenti possono incorrere sul posto di lavoro possono contribuire a problemi di salute che prima venivano considerati come non correlati. Fattori strettamente collegati al lavoro come l'orario, il carico, i rapporti interpersonali, le ferie e i livelli retributivi hanno tutti a che fare con il benessere più generale di una persona.
Secondo l'OMS, infatti, l'1,5% delle malattie è attribuibile ai rischi occupazionali. L'HR Manager deve quindi considerare numerosi aspetti per la creazione di un ambiente di lavoro adatto al dipendente e deve fare il possibile per rispondere ai suoi bisogni, sia sul livello fisico che su quello emotivo.


Un esempio è la pratica dell'"accomodamento ragionevole", ovvero l'adozione di misure efficaci per adattare il luogo di lavoro in funzione del problema di salute del dipendente, come attrezzature specifiche, ritmi di lavoro meno sostenuti, una ripartizione equa dei compiti, oltre che la messa a disposizione di mezzi di formazione o di inquadramento.

WTW ha pubblicato recentemente anche un Osservatorio sulle politiche retributive. Quali sono i principali dati emersi?


Nel 2022 i salari dei lavoratori dipendenti italiani cresceranno del 2,5%, un incremento pari a quello degli ultimi tre anni che conferma una certa stabilità del mercato del lavoro.
Quasi l'80% delle aziende intervistate non ha adottato al momento alcuna azione specifica di ulteriore aumento retributivo a seguito dell' accelerazione dell'inflazione e solo una limitata percentuale ha pianificato interventi straordinari per il secondo o terzo trimestre dell'anno in corso: complessivamente quindi solo il 38% delle aziende rispondenti ha adottato o prevede di adottare nel corso del 2022 uno o più interventi straordinari di incremento retributivo finalizzati alla gestione della crescita del costo della vita.



In questo quadro generale dove circa 6 aziende su 10 restano ferme sugli incrementi retributivi messi a budget nel terzo quadrimestre del 2021, c'è però una fascia ristretta di aziende che per essere maggiormente competitive sul mercato del lavoro e coprire almeno parzialmente l'incremento dell'inflazione, hanno deciso di aumentare il budget degli incrementi retributivi nel 2022: il 25% delle aziende più competitive ha rivelato aumenti tra il 3,4% per i Dirigenti e il 3,6% per gli Impiegati.
Veniamo da anni di crescita retributiva contenuta e lineare, a fronte di un tasso di inflazione basso, dove assistiamo a un aumento fisiologico delle retribuzioni dovuto principalmente a scatti di anzianità e aumenti contrattuali, mentre viene lasciato poco spazio al riconoscimento economico del merito. Ora però questo modello lineare è messo in crisi dalla crescita del tasso di inflazione (che a maggio ha sfiorato il 7%): questo fenomeno non può essere sottovalutato né dalle aziende né dalle Istituzioni.


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