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30/03/2022

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Formazione: i 6 trend per la competitività aziendale

Emanuele Castellani (Cegos): largo alle power skill e alla socialità come occasione di apprendimento. HR e organizzazioni dovranno trovare una sintesi tra il lato organizzativo, e quello legato alla comunità professionale

Chi opera nelle Risorse Umane lo sa bene. L'upskilling è insieme al reskilling tra i principali driver di cui gli HR Manager hanno intenzione di avvalersi per affrontare le nuove sfide tecnologiche a livello collettivo secondo il Cegos Observatory Barometer 2021. Ma cosa significa progettare e fare formazione che sia utile a sostenere lo sviluppo di persone e organizzazioni nel 2022 tra post pandemia e nuove incertezze di business?
"Significa valorizzare le esperienze fatte a livello individuale e organizzativo negli ultimi due anni, rispettare la diversità di esigenze e ricorrere a molteplici modalità di apprendimento, che tengano conto della complessità del contesto che stiamo vivendo e dell'autonomia generale raggiunta da molti", commenta Emanuele Castellani, CEO di Cegos Italy & Cegos Apac. "Si prospetta un ripensamento del modo di stare al lavoro tenendo a mente che il senso di appartenenza è un dato emotivo, oltre che fisico, un aspetto in grado di aiutare a compattare le aziende. HR e organizzazioni dovranno trovare una sintesi tra due livelli in gioco. Da un lato quello organizzativo, dall'altro quello legato alla comunità professionale, l'insieme delle persone che formano l'impresa all'insegna delle power skill da potenziare con la formazione".


I 6 trend del new learning secondo l'osservatorio Cegos saranno:
1 - crescita dell'apprendimento ibrido; se è vero che la formazione online è uno strumento imprescindibile, occorrerà superare il dualismo attività in presenza/in remoto, con percorsi che producano un'esperienza che le integri; è in questo senso che il blended learning diventa hybrid working rappresentando uno degli approcci migliori tra modalità sincrona e asincrona, digitale e presenziale.
2 - Apprendimento come opportunità di socializzazione, favorendo esperienze che siano inclusive e ingaggianti anche da remoto e ascoltando realmente le esigenze dei partecipanti per aumentarne l'engagement. La formazione non può svolgersi in contesti isolati, sebbene distanziati fisicamente. Diventa dunque necessario capire come produrre vicinanza anche laddove esiste un distacco fisico.
3 - Maggiore scelta sulle opportunità di apprendimento; ciò significa ideare percorsi (e non solo corsi) che attivino processi di empowerment diffusi per le persone, dando la possibilità di scegliere e di dare un proprio contributo fattivo. Ai partecipanti occorre dare e chiedere di più.

Offrire una piattaforma di contenuti ampia e accessibile (nel tempo e nello spazio). Richiedere responsabilità, presa in carico, attivazione e contributo.
4 - Partecipazione flessibile, intesa come maggiori possibilità di adesione flessibile, quindi minori livelli di rigidità su modalità, ore e partecipanti previsti e al contrario più opzioni che coniughino supporto al singolo e al gruppo.
5 - Sviluppo delle potenzialità digitali esprimibili attraverso le competenze, il knowledge e la gestione della propria identità digitale. Non si tratta solo di accompagnare le persone alla massima efficacia ed efficienza (oggi fattore distintivo e critico di successo), ma anche di consentire la fruizione delle opportunità offerte dal digitale, specie in ambito formativo.
6 - Senza dimenticare che l'apprendimento deve essere guidato dal purpose, l'obiettivo ultimo che serve a tenere ingaggiati i partecipanti e che spesso risulta essere legato alla possibilità di crescere o riqualificarsi come individui all'interno dell'organizzazione.

Su quali competenze investire?


In generale si continuerà a investire sulle competenze specialistiche di area tech, finance e di people management, con un'attenzione crescente però sulle skill comportamentali, volte a creare ambienti di lavoro che valorizzino le diversità, la sostenibilità e le capacità di leadership e di appartenenza (membership), sempre più appannaggio anche dei ruoli intermedi e professionali.


Ma ciò che emerge distintamente sono le soft skill, cruciali per tutte le organizzazioni ,grandi o piccole che siano, tanto da essere definite oggi "power skill". A quelle consolidate - remote collaboration, adattabilità, creatività e innovazione, comunicazione digitale, spirito d'iniziativa, imparare ad imparare e organizzazione efficace delle attività - si aggiungono pensiero critico ed etica aziendale, fondamentali tanto per il singolo quanto per tutta l'organizzazione per comprendere l'impatto delle proprie decisioni sul business e sulla società in generale.
Per le hard skill spazio alla formazione su nozioni di base utili trasversalmente ad altre funzioni in azienda, ad esempio elementi di finance validi anche per profili commerciali.
"Il risultato di un'organizzazione, osservabile ed analizzabile dalle prospettive più varie, è il prodotto dei comportamenti delle risorse umane. L'obiettivo ultimo della formazione, ovvero produrre un risultato diverso (e migliore) rispetto al passato, può avvenire solo attraverso l'adeguamento dei comportamenti agli scenari mutati", conclude Castellani.


"A loro volta i comportamenti sono sorretti dalle skill, normalmente distinte in soft e hard. Se è ormai accettato che le soft skill abbiano un effetto moltiplicatore sulle altre e ne potenzino l'efficacia, è, dunque, la moltiplicazione dei moltiplicatori l'effetto combinato che bisogna saper innescare per restare al passo o progredire in un contesto turbolento, in cui si è certamente esposti a maggiori rischi, ma anche a maggiori opportunità. Come sostiene un proverbio cinese, sviluppare nuove competenze è come remare contro corrente. Se ti fermi vai indietro".


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