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23/03/2022

idee

Le caratteristiche di un buon leader non dipendono dal genere ma la parità ai vertici è ancora lontana

Stefania Radoccia (EY): è necessario imprimere un'accelerazione decisa a un processo di transizione culturale che in altri Paesi europei è già avviato

L'8 marzo, festa mondiale della donna, è passato e ha lasciato alcuni dati interessanti sulla situazione italiana.
Circa il 30% delle lavoratrici tra i 30 e i 50 anni ritiene che la propria posizione professionale non sia in linea con le proprie competenze e aspettative.
Il 36% non ritiene adeguatamente valorizzate le proprie competenze e oltre il 40% ritiene inadeguata la propria retribuzione. Tutto ciò in un contesto in cui la metà delle intervistate ritiene presente uno squilibrio di possibilità di carriera e di compensi tra uomini e donne. È quanto emerge dalla survey EY - SWG, per indagare la presenza e il ruolo delle donne all'interno delle aziende italiane.
"L'applicazione della legge Golfo-Mosca ha prodotto un incremento della quota delle donne negli organi di amministrazione delle società quotate, che è passata dal 7,4% del 2011 al 36,5% del 2019; la presenza negli organi di controllo è passata dal 6,5% al 38,8%. Tuttavia, non possiamo dare per realizzata la parità di genere nei vertici aziendali: tra le donne che ricoprono ruoli negli organi di amministrazione sono AD solo l'1,7% nelle società quotate e lo 0,7% nelle banche; ricoprono la carica di presidente il 3,2% in entrambi i casi.

È quindi necessario imprimere un'accelerazione decisa a un processo di transizione culturale che in altri Paesi europei è già avviato. C'è ancora molta strada da fare ed è una strada che impatta positivamente sulle performance aziendali: diversi studi documentano che le aziende con leadership femminile ricorrono meno al debito come fonte di finanziamento e hanno guadagni meno volatili e una maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto a società simili gestite da leader uomini", commenta Stefania Radoccia, Managing Partner dell'area Tax & Law di EY in Italia.
A conferma di tutto ciò, dalla survey emerge che, tanto nella percezione delle lavoratrici quanto in quella dei dirigenti (sia uomini sia donne), in oltre la metà delle imprese i ruoli dirigenziali continuano a parlare principalmente al maschile e, anche laddove hanno acquisito ruoli dirigenziali, le donne si trovano a gestire un numero inferiore di risorse rispetto ai colleghi maschi.
Pur a fronte di una situazione reale ancora fortemente sbilanciata verso una leadership maschile, i tre quarti dei dirigenti intervistati ritengono che un'azienda con una leadership equilibrata dal punto di vista del genere sia più performante.

La percezione generalizzata è che le caratteristiche di un buon leader non dipendano dal genere, anche se su alcuni tratti emergono delle sfumature che sembrano attribuire maggiormente alle donne le competenze di inclusività e di motori del cambiamento e agli uomini autorevolezza e carisma. Netta bocciatura invece per il luogo comune secondo il quale le donne non sarebbero interessate a fare carriera. Gli ostacoli principali rimangono quelli legati alla conciliazione tra lavoro e attività di cura (per il 46% delle lavoratrici) e la predominanza maschile nei ruoli chiave (per il 48% delle lavoratrici). Tra le donne (dirigenti e non) ampio il gradimento per una legge che renda vincolante per le aziende perseguire obiettivi di parità di genere, sebbene la letteratura suggerisca che l'impatto economico dell'imposizione di quote di genere sia ancora controverso, e che anzi in alcuni casi può addirittura ridurre il valore dell'impresa per le aziende ben governate.

Gender gap: a che punto sono le aziende italiane?


Nella percezione delle lavoratrici e dei dirigenti intervistati sono ancora poche le aziende che si sono dotate di una reale struttura organizzativa per ridurre le differenze di genere: nel 68% delle aziende non è presente una struttura che si occupi dell'inclusione delle donne; e solo il 21% ne prevede l'adozione nei prossimi anni.


A mancare sono soprattutto le strutture che possono favorire la conciliabilità tra lavoro e famiglia - considerata peraltro il principale problema per l'inclusione e la leadership femminile - ma anche sistemi organizzati di misurazione del gender gap (nel 70% delle aziende attualmente non è previsto un sistema di monitoraggio dei progressi per raggiungere la parità di genere).
Nel confronto tra dirigenti uomini e donne, il percepito appare spesso molto distante, con una differenza di oltre 20 punti percentuali quando si parla di effettiva equità nel trattamento di uomini e donne (donne e uomini sono trattati con equità secondo il 76% dei dirigenti uomini, contro il 50% delle dirigenti donne) e della capacità dell'azienda di promuovere la formazione professionale delle donne (per il 38% delle manager viene promossa la formazione e la crescita professionale delle donne, contro il 57% dei dirigenti uomini). Solo per il 31% delle dirigenti donna e per il 39% dei dirigenti uomini nella propria azienda è previsto un piano per la parità di genere.
L'obiettivo di raggiungere la parità di genere nei ruoli dirigenziali non appare facile da raggiungere nel breve periodo: per il 16% delle dirigenti donne intervistate sarà comunque irraggiungibile, mentre per il 35% delle intervistate ci vorranno più di 10 anni.


L'ingaggio diretto a questo riguardo di uomini e donne appare piuttosto diverso, con una maggiore tendenza dei dirigenti uomini a lasciare che le cose si compiano secondo il loro corso, senza intervenire direttamente. Per il 49% dei dirigenti uomini, infatti, la promozione di più donne in posizione di leadership è un impegno da assumersi ma non una priorità e per il 31% degli stessi è qualcosa che avviene naturalmente ma sulla quale non si devono fare particolari azioni.
"Il 56% dei dirigenti intervistati non è a conoscenza della certificazione di parità, una delle misure che il Governo ha inserito nella missione 5 del PNRR. Questa certificazione, se ottenuta, prevede un esonero sui contributi previdenziali in misura non superiore all'1% e nel limite massimo di 50mila euro annui. L'adesione è su base volontaria e non sanzionatoria per favorire un vero e proprio cambio culturale all'interno delle aziende. Si tratta di un tema cruciale per la crescita del Paese, sul quale tuttavia non abbiamo registrato una grande attenzione: solo il 42% dei dirigenti conosce la misurazione dell'impatto di genere, che viene applicata nel 20% delle aziende degli intervistati.


Abbiamo constatato invece ampio consenso (60%) verso l'introduzione di premi ed incentivi per realizzare obiettivi misurabili di impatto di genere, un sistema che in EY abbiamo adottato già da alcuni anni", conclude Radoccia.


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