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09/03/2022

leisure

Smartworking: ancora tu? ma non dovevamo vederci più?

La questione sta diventando un caso su cui riflettere. E la tecnologia non è più una barriera

La questione del benessere del lavoratore non è più un argomento di discussione.
E' una realtà.
Sebbene il passaggio dalla pandemia all'economia di guerra non aiuti di certo le discussioni, ci sono elementi che sono evidenti e di cui le aziende dovrebbero tenere conto.
Il primo dato è che gli istituti di ricerca hanno notato che c'è un mercato della mobilità del lavoro in forte crescita, che si chiami south working, che si chiami ritorno a casa, rallentamento del pendolarismo o semplicemente una ricerca della qualità della vita non conta.
Il fenomeno esiste.
Il digitale ha infranto l'ultima barriera e oggi è possibile lavorare da remoto senza grandi problemi.
Che poi non sia l'ideale lavorare sempre da remoto è stato ampiamente compreso, ma la qualità della vita dei lavoratori non può più essere messa in discussione.
C'è un problema culturale da affrontare, ma anche di leadership e di organizzazione del lavoro.
Non è tutto oro ciò che luccica, bisogna trovare un equilibrio e nuove regole.
Realizzando ogni mattina la serie sui social #SmartBreak, ricevo quotidianamente domande e richieste relative a questo tema che è particolarmente sentito, ma la cosa più interessante è che non è una questione ideologica o di comodità, ma proprio di qualità della vita.


Non è un caso che gli istituti di ricerca abbiamo notato nel 2021 un 2% di cambiamenti di aziende perché o ci si avvicinava da casa o si cercavano giorni di smartworking.
Addirittura, anche nel nostro Changes se ne parla, i giovani si approcciano al lavoro chiedendo lo smartworking, che diventerà terreno di conquista per i talenti.
Fateci caso, le aziende più furbe (smart) si stanno organizzando: la percentuale di annunci di lavoro che offrono la flessibilità è quasi raddoppiata.
Insomma, per tutti coloro che pensavano che non si parlasse più di smartworking, è una dura sconfitta, ma è chiaro che a certe praticità non si può più rinunciare.
Anche lato aziendale, perché meno metri quadri di uffici significa un risparmio significativo di costi in un anno.
Ma non solo.
Poiché i datori di lavoro si concentrano sempre più sulla produzione e sulle prestazioni piuttosto che sul tempo trascorso seduti a una scrivania in un ufficio, potremmo assistere all'adozione di altre iniziative che sfidano il tradizionale paradigma di cinque giorni dalle 9 alle 18. 
Per esempio, la settimana di quattro giorni è già stata sperimentata con successo in Paesi come l'Islanda e la Nuova Zelanda.


 
Nel Regno Unito, più di 30 aziende stanno partecipando a una prova di sei mesi di quattro giorni di lavoro nel tentativo di misurare se i lavoratori possono lavorare garantendo il 100% di produttività nell'80% del tempo.
Il lavoro non sarà più quello di una volta, almeno per gli specializzati.


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