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29/12/2021

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Draghi, il tecnico che dovrebbe riportare la politica al centro della scena

Si può sacrificare il vantaggio nell'avere Draghi a Palazzo Chigi fino alla completa esecuzione degli impegni presi con il Recovery Fund, con l'opportunità di offrirgli un ruolo da garante del governo anche verso il sistema di relazioni internazionali, eleggendolo presidente?

Nella settimana in cui l'Economist pone il nostro Paese sul podio dei protagonisti del 2021, grazie soprattutto alla guida di Mario Draghi, cade perfettamente la recensione del testo "Draghi o il caos. La grande disgregazione: l'Italia ha una via d'uscita", di Ludovico Festa e Giulio Sapelli, edito da Guerini e Associati.
Gli autori partono da un semplice assunto: mentre tutto il mondo lotta per riprendersi dalla crisi pandemica, l'Italia deve operare anche su un altro fronte. Come porre rimedio alla profonda disgregazione, anzitutto del suo tessuto politico e istituzionale. In questo contesto, Mario Draghi offre una chance unica ed eccezionale: economista di qualità, civil servant stimato in Europa, banchiere legato alla finanza americana, garanzia per scelte tecniche e relazioni internazionali. Ma nemmeno una personalità di tale levatura arresterà il disfacimento della nostra democrazia se non ci sarà un ritorno alla discussione pubblica, cioè alla politica. Ecco il punto: i tecnici, per bravi che siano (e Draghi nel confronto con Monti vince, dicono gli autori, hanno contribuito ad eliminare quasi del tutto il ruolo della politica (con la P maiuscola, intendiamoci).

Occorre che questa recuperi un ruolo ed un primato. Ciò è possibile solo se Draghi viene eletto alla Presidenza della repubblica, e il governo torna ad essere espressione politica.
"Se la nostra analisi sullo stato disperato in cui versano le istituzioni italiane è realistica, se si ritiene che la ricostruzione della disgregazione italiana, precipitata del decennio 2010-2020, sia corretta, se dall'immediato passato si deduce, che la scelta di svuotare di funzione la politica, pur forse talvolta inevitabile e pur consentendo qualche vantaggio tattico, abbia determinato la crisi verticale che stiamo vivendo, se questi sono gli onesti presupposti per una scelta, allora quella che abbiamo definito 'la chance' Draghi per salvare la Repubblica, va giocata nella partita del Quirinale con il massimo della consapevolezza", sostengono gli autori.
"La Costituzione - proseguono Festa e Sapelli - attribuisce poteri al Presidente della Repubblica, materialmente (non illegittimamente) ampliati in questi ultimi decenni per esempio con gli interventi sulle scelte dei ministri. Questi poteri materiali conferiscono al "presidente" un ruolo di garanzia del corretto comportamento del governo che in parte va oltre lo spirito della Costituzione, ma è stato consentito dalla reintepretazione delle norme scritte.

Questi poteri normati e/o conquistati con la prassi, verrebbero consolidati con un'ascesa al Colle di una personalità di riconosciute competenze e di eccezionali relazioni internazionali".
A questo punto la proposta, contro corrente, è davvero intrigante: "Si può sacrificare il vantaggio - che vari ambienti (compresi giornali come il Financial Times) sottolineano - nell'avere Draghi a Palazzo Chigi fino alla completa esecuzione degli impegni presi con il Recovery Fund, con l'opportunità di offrirgli un ruolo da garante del governo anche verso il sistema di relazioni internazionali, eleggendolo presidente?".
Inutile dire come la pensino gli Autori. Infatti, lasciare Draghi a Palazzo Chigi a gestire scelte di governo e relazioni internazionali, e mettere al Quirinale una figura minore, "Può apparire una scelta opportuna. In realtà lasciando andare alla deriva il sistema politico, non si fa che accelerare la corsa verso il baratro perché nessun supertecnico può sopperire alla concretezza dei legami società-istituzioni, l'unica che può rivitalizzare in qualche modo il ruolo dei partiti. Certo sono sostanzialmente imprecisate le forme che potrà assumere questa eventuale rivitalizzazione.


Però sono assolutamente prevedibili le macerie ulteriori che si accumulerebbero, se non si facesse un passo in questa nuova direzione".
L'eccezionale chance che Draghi offre oggi non va gestita esclusivamente guardando all'emergenza ma considerando anche il risanamento sistemico che solo può reggere il futuro della Repubblica. Ecco, quindi, la provocazione: sia un tecnico a salire nel gradino più alto e da qui controlli e pungoli a dovere la classe politica al fine non solo di fare bene quello che occorre, ma anche di saper sintetizzare tra le differenti posizioni quella che meglio premi l'interessi di tutti.
Insomma, la politica torni a fare la politica.
"Senza rinascita dei partiti la democrazia italiana non ha futuro, ma oggi non è semplice immaginare come potranno rinascere i partiti senza un Quirinale draghiano. Abbiamo cercato di spiegare quella che secondo noi è una, pur rischiosa via di uscita dallo stato di disgregazione cultural-istituzionale dell'Italia. Ma il nostro destino nazionale può anche infilarsi in modo più o meno definitivo in una via senza uscita: nelle vicende umane l'esito catastrofico non può mai essere escluso".



Insomma, una questione non da poco, su cui avviare una costruttiva riflessione nei salotti di casa a partire dal 27 dicembre pomeriggio!

Titolo: Draghi o il caos. La grande disgregazione: l'Italia ha una via d'uscita
Autori: Ludovico Festa e Giulio Sapelli
Editore: Guerini e associati
Pagine: 192

Federico Unnia
Aures Strategie e politiche di comunicazione


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