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29/12/2021

economia

Italiani e risparmio: dopo il difficile 2020, è arrivata la svolta

Gregorio De Felice (Intesa Sanpaolo): il Paese ha una grande liquidità. Per rilanciare strutturalmente l'economia occorre utilizzare al meglio la massa di risparmio depositata presso le banche. Attenzione all'inflazione

La pandemia da COVID-19 ha acuito i trend già in atto presso le famiglie italiane. Si cerca di risparmiare sempre di più e la crisi sanitaria ha portato con sé anche una generalizzata diminuzione delle entrate da salario, al punto che oggi l'Italia è il Paese europeo dove c'è la maggiore disuguaglianza a livello di reddito, ma anche quello in cui vi è una formidabile massa di liquidità sui conti correnti o investita nel reddito fisso. E' quanto emerso dalla Ricerca sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2021, condotta da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi.
Nel corso della presentazione Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, ha inquadrato l'attuale clima economico: "la variante Omicron non farà deragliare la ripresa. Ci aspettiamo una minore crescita dello 0,5% in Europa. La ripresa mondiale dovrebbe attestarsi al 6% nel 2021. Abbiamo però un'inattesa accelerazione sull'inflazione. Questa ha un effetto fortemente ridistributivo e avvantaggia chi ha debito. Chi ci perde sono i lavoratori dipendenti e i risparmiatori, specialmente quelli che hanno investito sul reddito fisso e hanno tanta liquidità.

Questo fattore pone pressioni sulle banche centrali. La risposta sarà diversa tra USA e EU. In USA aumenteranno probabilmente i tassi. La BCE invece non li alzerà prima della seconda parte del 2023.
Il 2022 sarà l'anno della verità per l'Italia e la sua crescita. Per due fattori: il primo la fiducia nell'Europa, che richiederà uno sforzo politico, visto che dobbiamo attuare 100 condizioni. Il secondo è che sarà l'anno delle riforme. E per rilanciare strutturalmente l'economia occorre utilizzare al meglio la massa di risparmio depositata presso le banche. La spinta di fiducia e PNRR dovrebbe dare il La per indirizzare questi fondi verso l'economia. E ci vuole il contributo del sistema bancario. Sono un iceberg da scongelare
".
Passiamo ora a vedere i principali risultati del rapporto.
Secondo le interviste sull'andamento dell'anno 2020, il 9% delle famiglie italiane ha subito conseguenze sulla salute propria o di un membro della famiglia: in una casa su dieci il Covid è entrato davvero. Molto più ampio è il numero di famiglie che ha visto ridursi o azzerarsi le entrate ordinarie a causa delle conseguenze economiche del Covid: nel complesso, si tratta del 36,8% degli intervistati.

Tra questi, il 19,6% dichiara che le entrate sono "un poco" diminuite, il 15,7% che sono "molto" diminuite e l'1,5% dichiara che tutte le entrate sono state perdute. Queste percentuali mostrano che la perdita media di reddito netto familiare, pari a 105 euro mensili, non ha riguardato tutti: si è avuta una forte concentrazione dell'impatto economico, che si è scaricato su poco più di una famiglia su tre.
Lo sforzo straordinario della politica economica italiana ha consentito di mitigare gli effetti economici negativi del Covid sulle famiglie. A livello aggregato, risulta infatti che al -8,9% del PIL ha corrisposto un calo decisamente inferiore del reddito disponibile.
Le risposte ai due questionari permettono di individuare quanti hanno ricevuto aiuti a livello microeconomico. In media, i sussidi o altre forme di supporto economico hanno raggiunto il 28% del campione, quindi nominalmente hanno servito il 74% di coloro che hanno perduto entrate, con quote che salgono inevitabilmente in alcune categorie, come gli esercenti (che hanno ricevuto aiuti nel 53% dei casi), gli operai (48%) e i giovani (44%).

Gli aiuti sono stati giudicati sufficienti ma giunti in ritardo dai lavoratori dipendenti manuali, sono stati piuttosto tempestivi ma insufficienti secondo i lavoratori autonomi e gli esercenti, mentre hanno abbastanza soddisfatto la categoria degli impiegati.

Italiani risparmiatori, ma uno su due è impreparato


Di fronte a un'emergenza, le famiglie italiane erano preparate? Nonostante l'ampio serbatoio di risparmio privato, la risposta è che non tutte, in realtà, lo erano. Infatti, è risultato che il 53% di esse non aveva accantonato un fondo di riserva, ossia non aveva depositi liquidi sufficienti o strumenti finanziari monetari liquidabili immediatamente per far fronte ad una emergenza economica come quella che abbiamo vissuto.
La pandemia, pur non avendo scosso in misura forte il tenore di vita (nonostante 400 mila famiglie abbiano perso tutte le entrate, circa l'1,5% del campione), è intervenuta anche sui comportamenti di risparmio, evidenziando due macro-cambiamenti:
a) la diminuzione, dal 55,1% al 48,6%, ossia di ben 6,5 punti percentuali, della quota di risparmiatori nel campione, per effetto delle ridotte disponibilità.


I non risparmiatori sono tornati prevalenti sui risparmiatori;
b) la crescita tra i risparmiatori residui, pari a ben 6,7 punti percentuali, del numero di coloro che hanno intrapreso il risparmio in modo involontario, essenzialmente per non essere riusciti a consumare nell'anno della pandemia a causa delle restrizioni di attività e mobilità.

Investimenti con prudenza, ma nessuna fuga


Gli investimenti finanziari nell'anno del COVID-19 sono stati ridotti e messi in larga parte in standby proprio dall'incertezza pandemica, ma anche dalla difficoltà oggettiva di incontrare sul mercato investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori, che nel 2021 privilegiano nel lungo periodo, la sicurezza (ossia il desiderio di non perdere il capitale investito) e nel breve periodo la liquidità.
Per questa ragione, anche se non sono più afflitte dalla crisi di fiducia che avevano avuto nel 2011-2012, le obbligazioni ricevono un consenso limitato. Sono possedute dal 22% del campione, contro un massimo storico del 29%; un obbligazionista su tre ha operato su questi titoli, nel 2021, facendo investimenti netti.


Sono 3,8 gli obbligazionisti soddisfatti per ogni insoddisfatto.
Le azioni sono invece considerate per quello che sono realmente, ossia titoli per esperti, dunque appannaggio di una minoranza pari al 6,1% del campione. Metà di essi ha effettuato acquisti netti nell'ultimo anno. Sono 5 gli investitori in azioni soddisfatti per ogni insoddisfatto.
L'indice di soddisfazione maggiore di tutte le classi di investimento va al risparmio gestito (il rapporto tra soddisfatti e insoddisfatti è di 6 a 1). Fondi e risparmio gestito durante la crisi della pandemia hanno fatto registrare investimenti netti da parte dei sottoscrittori. Sui fondi, nel tempo, sono mutati i giudizi: non sono più percepiti come prodotti speculativi, adatti a chi ha buone risorse da investire; adesso per la maggioranza del campione sono prodotti caratterizzati dalla competenza, dalla diversificazione che controlla il rischio e, soprattutto, sono adatti anche ai piccoli risparmiatori. E nel biennio pandemico è stato così.

Investimenti alternativi e innovativi: avanti adagio


Gli investimenti nuovi e alternativi cominciano a entrare nella consapevolezza dei risparmiatori, ma lo fanno molto lentamente.


I PIR, destinati a collegare il risparmio con gli investimenti reali, particolarmente delle piccole e medie imprese, sono stati considerati appena dal 2,5% per campione, ma per ogni sottoscrittore effettivo ve ne sono 6 indecisi che potrebbero investirvi in futuro (14 tra gli impiegati, categoria che ha più liquidità della media).
I bitcoin affascinano appena il 5% degli intervistati (senza che abbiano necessariamente acquistato questi strumenti). Trovano i potenziali estimatori all'incrocio dei risparmiatori giovani, benestanti e istruiti. È presto per affermare che si tratti di un interesse che va oltre una moda, e del resto non sono gli investimenti più raccomandabili quanto a sicurezza (che resta la prima caratteristica desiderata dai risparmiatori anche delle categorie più dinamiche), stanti l'alta volatilità delle criptomonete e il fatto che esse non godono della tutela tradizionale della MIFID.
Il 6,7% del campione - si sale al 14% tra i laureati - risulta interessato agli investimenti etici e a impatto positivo sull'ambiente e sulla società: il settore finanziario sta raccogliendo questa istanza puntando sulla classificazione e selezione ESG degli investimenti.


Tuttavia, essendo di tipo nuovo, il comportamento classico dei risparmiatori italiani è di introdurre nel portafoglio questi investimenti "a piccole dosi".

Pausa anche sui prestiti, ma un mutuo su tre ha beneficiato della sospensione


Lo scarso attivismo finanziario del 2021, in parte scelto e in parte subito dai piccoli investitori, ha colpito anche i prestiti alle famiglie. Quelli relativi ai mutui per le case (1,1% del campione), che usualmente facevano la parte del leone nel passivo delle famiglie, hanno seguito la flessione nel 2020 delle compravendite immobiliari, crescendo meno degli anni precedenti.
Le case sono state un po' meno acquistate, di fatto, per la difficoltà di compiere materialmente tutte le operazioni necessarie alle compravendite, dalle visite agli atti notarili, particolarmente nella primavera del 2020. Ciò nonostante, vanno segnalati sia un rimbalzo dei mutui che sono stati rinegoziati (1,3% del campione), sia una discreta adesione alla sospensione dei mutui permessa dalle norme anti-Covid. Il 16,8% dei possessori di un mutuo ha chiesto e ottenuto la sospensione, quota che sale al 31,5% dei mutuatari sulla cui famiglia il Covid ha impattato sanitariamente e a ben il 32,6% di chi è sopra i 55 anni di età.




I risparmiatori più dinamici sono pronti a riprendere consumi e investimenti temporaneamente congelati. Cauti gli altri


La prima domanda che è legittimo porsi è che cosa faranno le famiglie che hanno accumulato un eccesso di risparmio. Quante vorrebbero reimmetterlo nel circuito economico e quante vorrebbero trattenerlo? Il campione qui si divide in due parti. Una, relativamente maggioritaria, vorrebbe per il momento aspettare e tenere da parte il gruzzoletto accantonato: si tratta del 64%. Non è tuttavia la parte più abbiente, bensì quella più avanti negli anni e che potremmo definire appartenente al ceto medio-basso e con limitata istruzione. Il restante 36%, che include i laureati, i giovani e gli appartenenti al ceto medio-alto e alto per reddito, è di opinione diversa e vorrebbe rilanciare i suoi consumi, anche se con priorità differenti. Il ceto medio è pronto a spendere di nuovo, nell'ordine, in viaggi, in una nuova auto o nuovi beni durevoli, al terzo posto in una casa nuova. I laureati mettono sempre in cima alla lista un viaggio, segno che la fermata dei movimenti è stata sofferta, ma invertono le preferenze che vengono dopo: prima la casa e in ultimo una nuova auto.


I giovani mettono al primo posto la casa, comprensibilmente, poi l'auto e infine i viaggi.

La seconda giovinezza della casa


Le case degli italiani sono mediamente più piccole (81 mq) di quelle degli spagnoli (96 mq), dei francesi (102 mq) e dei tedeschi (109 mq): la DAD e lo smartworking hanno mostrato l'insufficienza, almeno qualitativa, se non quantitativa, del patrimonio abitativo italiano.
Il 18% del campione ha dichiarato che, a seguito della pandemia, giudica oggi insufficiente lo spazio della propria casa. Il 2,6% avrebbe già deciso di cambiarla e il 10,7% lo farebbe se si realizzassero altre condizioni, prevalentemente dal lato del finanziamento. La somma semplice di questi due dati costituisce il 13,3% del campione, ma si sale al 28% fra i 25-34enni e al 22% dei 35-44enni. Il 31% di coloro che vorrebbero cambiare casa aspirerebbe a una casa fuori città; si sale al 52% fra i più giovani. Il 17% resterebbe in città, ma vorrebbe una casa con almeno un terrazzo o con un piccolo giardino.
Se il tasso di successo di questi desideri fosse appena del 50%, nei prossimi anni il mercato immobiliare potrebbe affrontare una domanda per adeguamento delle case di oltre 500 mila unità all'anno, delle quali 125 mila circa in uscita dai centri urbani, senza contare la domanda normale, non derivata da questioni pandemiche.




Pensioni: le riforme sono assimilate, ma il secondo pilastro non decolla


A distanza di dieci anni dall'ultima riforma strutturale delle pensioni (Monti-Fornero, dicembre 2011), l'aspettativa sul tasso di rimpiazzo del reddito da parte dell'assegno pensionistico si è aggiustata ed è sostanzialmente corretta, mentre la comprensione del sistema pensionistico incontra resistenze sull'età attesa di pensionamento, generalmente considerata troppo lontana e comunque avvolta dall'incertezza per una larga parte del campione, date le tendenze ondivaghe della politica previdenziale su questo aspetto.
In generale, la ricchezza pensionistica privata resta bassa, se il 12,6% appena dei lavoratori dichiara di avere sottoscritto un trattamento pensionistico integrativo e un terzo l'ha fatto con il TFR. La scarsa diffusione del secondo pilastro e la diffusione del terzo pilastro privato individuale essenzialmente tra i più abbienti del campione è il frutto dell'imprevidenza dovuta alla limitata capacità di pianificare lungo tutto l'arco della vita, per motivi anche legati alla nota scarsa istruzione finanziaria dei risparmiatori.


Certo, il secondo pilastro, pur sostenuto da vantaggi fiscali, non è neppure così ben conosciuto - il 70% dei lavoratori li ignora -, e comunque per la maggior parte non viene sottoscritto perché non si intende delegare l'investimento di altre quote di retribuzione indiretta oltre alla quota (considerata alta) dei contributi obbligatori e del TFR. Se resta qualcosa, le persone vogliono occuparsi in proprio degli investimenti pensionistici, cosa che ostacola l'accrescimento della protezione del secondo pilastro.

I rischi, anche quelli non pandemici, si notano di più


Le fasce di età che evidenziano uno stato di maggiorata preoccupazione sono quelle intermedie, ossia fra i 35 e i 64 anni. I più giovani hanno pochi beni da proteggere, limitate obbligazioni ricorrenti e l'energia dell'età; al pari, gli anziani, per quanto siano stati i più vulnerabili al coronavirus, probabilmente perché da essi non dipendono più altre persone se non il compagno o la compagna della vita. Nelle classi di età intermedie, l'apprensione è strutturalmente salita non tanto riguardo alla salute, quanto piuttosto al lavoro e al reddito.


È salita di 10 punti percentuali, al 54%, la quota delle persone preoccupate della possibilità di subire una diminuzione temporanea del reddito; il 63% (+13 punti rispetto all'anno precedente) teme invece una perdita permanente del reddito. Tutto ciò nonostante, i risparmiatori tendono a recuperare terreno, anno dopo anno, rispetto alla condizione di sotto-assicurazione strutturale che le precedenti Indagini hanno evidenziato, ma ciò avviene ancora a ritmi molto lenti. Chi è assicurato per la salute, comunque, ha raggiunto il 15,9% del campione, contro l'11,8% nel 2018.

Cresce la fiducia (diminuisce la sfiducia) sui prossimi 12-18 mesi


Ciò che però è importante è vedere il miglioramento sui saldi delle aspettative tra la prima rilevazione del 2021 (marzo) e la seconda (maggio), quando la campagna vaccinale stava guadagnando momento e volgendo verso la soluzione del problema sanitario. Il saldo ottimisti-pessimisti sulle aspettative di reddito a 12-18 mesi delle famiglie è passato, in pochi mesi, da -16 a -2,6%, portandosi quasi in pari; quello sul risparmio è passato da -34 a -24%; quello sulle imposte, ossia sul costo dell'aggiustamento del bilancio pubblico, è passato da -27 a -3%.


In sostanza, seguendo quest'ultima aspettativa, le famiglie considerano possibile che si avveri ciò che l'Unione Europea e il Governo italiano si propongono attuando il PNRR: che la ripresa macroeconomica e del PIL si consolidi e diventi strutturale, tanto che non risulterà necessario aumentare le tasse poiché sarà la crescita del PIL a permettere l'aggiustamento del rapporto debito/PIL.


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