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13/10/2021

idee

Commercio internazionale colpito dai movimenti sociali post-pandemia

Nel 2020 l'indicatore di rischio sociale e politico Coface ha raggiunto un record mondiale del 51% e del 55% nei Paesi emergenti

Le restrizioni legate alla pandemia avevano temporaneamente messo un freno all'aumento dei movimenti sociali: ora si presentano con una nuova ondata. Le proteste, principalmente nei Paesi emergenti, dovrebbero aumentare a causa di un deterioramento senza precedenti degli indicatori socio-economici.
Questi disordini sociali avranno ripercussioni sull'attività economica dei paesi emergenti in cui si manifestano, e in particolare sul loro commercio estero. Coface ritiene che i movimenti sociali di massa abbiano effetti negativi particolarmente pronunciati e permanenti sulle esportazioni di merci dei paesi: negli anni in cui si verificano tali movimenti, le esportazioni sono inferiori in media del 4,2% rispetto al loro potenziale stimato. Lo shock sulle importazioni invece è più debole e transitorio.
Le modalità in cui si presenteranno questi movimenti sociali, il perdurare nel tempo e l'intensità, saranno dunque decisivi per il commercio internazionale nei prossimi anni.
"La pandemia ha momentaneamente frenato la crescita dei movimenti sociali nei paesi emergenti. Ma gli effetti devastanti socio-economici della crisi sanitaria hanno portato il rischio sociale e politico a un livello storico.

Queste pressioni dovrebbero innescare una nuova ondata di protesta sociale con significative ripercussioni economiche sui paesi colpiti. L'incertezza legata all'instabilità politica, il calo della fiducia degli operatori economici, il calo dell'attività industriale e dei servizi in termini di offerta, nonché i consumi dal lato della domanda, peseranno sull'attività. Il commercio estero, e in particolare le esportazioni, saranno vittime collaterali.
Coface stima che nei tre anni successivi a un movimento sociale, le esportazioni rimangano fino a quasi il 9% al di sotto del loro potenziale. Se il movimento ha richieste socio-economiche, come la maggior parte di quelli emersi dopo la pandemia, rimangono inferiori fino al 20%
", commentano Samuel Adjutor e Ruben Nizard, economisti di Coface.

Una nuova ondata di movimenti sociali all'orizzonte


I movimenti sociali si verificano, per la maggior parte, nei Paesi emergenti e il loro numero ha continuato ad aumentare tra il 2017 e il 2019. Inoltre, le esperienze di precedenti epidemie o pandemie mostrano che i disordini sociali emergono, in media, un anno dopo le crisi sanitarie.

Questa recrudescenza del malcontento sociale si spiega con i devastanti effetti socio-economici di queste crisi. L'entità dell'impatto di COVID-19 non ha eguali, il che si rifletterà nell'intensità dei futuri movimenti sociali. Il rischio sociale e politico misurato da Coface non è mai stato così alto a livello globale. Nel 2020 ha raggiunto il record del 51% a livello globale e del 55% nei Paesi emergenti.
Più specificamente, le pressioni sociali per il cambiamento non sono mai state così forti. Nel 2020 l'indice di pressione sociale ha raggiunto un livello storico, passando dal 46% al 54% a livello globale e, per i soli paesi emergenti, dal 54% al 61%. Questo aumento è spiegato dal peggioramento senza precedenti degli indicatori socio-economici nella stragrande maggioranza dei paesi analizzati. A causa della pandemia, le popolazioni hanno visto una riduzione del tenore di vita, come dimostra il calo del PIL pro capite, hanno assistito al deterioramento del loro potere d'acquisto, come sottolineato dall'aumento della disoccupazione e dell'inflazione, e all'incremento delle disuguaglianze di reddito e ricchezza.


In alcuni paesi, la situazione è aggravata dall'insoddisfazione per la gestione della crisi sanitaria da parte dei governi e dalle restrizioni alle libertà civili e politiche considerate talvolta ingiuste.
Così, nel 2020, l'88% dei Paesi emergenti ha visto aumentare il proprio livello di rischio associato alle pressioni sociali, in particolare nei grandi paesi asiatici emergenti, come Malesia, India, Thailandia e Filippine, ma anche in alcuni paesi del Maghreb, come Algeria e Tunisia.

La situazione potrebbe pesare sul commercio internazionale


L'esperienza delle pandemie passate conferma che i movimenti sociali di massa hanno un impatto negativo persistente sull'attività economica.
Per almeno un anno e mezzo a seguito di un movimento sociale di massa, la crescita del PIL rimane infatti, a un punto percentuale al di sotto del livello pre-movimento. Talvolta, per i Paesi emergenti è addirittura inferiore di due punti percentuali.
Questi effetti possono essere spiegati, in termini di offerta, da un calo dell'attività industriale e dei servizi e, dal lato della domanda, dal calo dei consumi.


A ciò si aggiunge il calo della fiducia dei consumatori e delle imprese e l'aumento dell'incertezza. Inoltre, l'incertezza associata all'instabilità politica aumenta i costi di transazione tra il Paese colpito dal movimento e il resto del mondo, riducendo gli incentivi ad avviare nuove relazioni commerciali o coltivare quelli già esistenti. I flussi commerciali rallentano o addirittura si contraggono: il calo dell'attività industriale interrompe le esportazioni e la riduzione dei consumi colpisce le importazioni.
Nell'anno in cui si verifica un movimento sociale, le esportazioni sono inferiori del 4,2% rispetto al potenziale stimato. Il divario resta consistente per tre anni, con le esportazioni che restano tra il 6,3% e l'8,9% al di sotto del potenziale. L'impatto sulle importazioni è più marginale, poiché in questo caso la ripresa è più rapida.

L'impatto sul commercio dipenderà dal perdurare nel tempo, dall'intensità e dalle richieste dei movimenti sociali


L'impatto di un movimento sulle esportazioni e sulle importazioni varia notevolmente. Sono diversi i fattori che possono amplificare o limitare gli effetti sul commercio: specializzazione settoriale, peso del paese nel commercio internazionale, vicinanza ai partner commerciali e modalità di trasporto preferita nei flussi commerciali bilaterali.


Questi elementi possono avere effetti negativi a catena sui paesi terzi, siano essi partner commerciali o meno del paese interessato. Ma sono anche le forme che assumeranno i movimenti che determineranno l'estensione e la persistenza dello shock commerciale.
Non sorprende che la durata e la frequenza dei movimenti sociali siano decisive. Se il movimento è un evento isolato, l'impatto su esportazioni e importazioni è marginale. In caso contrario, l'instabilità politica latente rafforza la mancanza di fiducia e l'incertezza, aumentando i costi commerciali e limitando le capacità di esportazione. In questo caso, a tre anni dal primo movimento, le esportazioni rimangono, in media, di circa il 14% al di sotto del loro potenziale. Anche la portata della mobilitazione è un fattore importante in questo shock sul commercio.
Infine, il tipo di richiesta gioca un ruolo cruciale nell'entità e nella persistenza dello shock. Movimenti con richieste puramente politiche hanno effetti transitori e minori sulle esportazioni e sulle importazioni.
Le proteste che invocano esigenze socioeconomiche, e che quindi hanno maggiori probabilità di emergere dopo la pandemia, hanno effetti più duraturi e più gravi.


A tre anni dallo shock, le esportazioni restano inferiori del 20,7% rispetto al potenziale e le importazioni del 5,6%. Inoltre, lo scarso margine di manovra nella politica economica dei paesi emergenti per limitare gli effetti dei disordini sociali potrebbe amplificarne l'impatto sul commercio.
"Dallo scoppio della pandemia, l'indicatore di rischio sociale e politico Coface ha raggiunto un record mondiale del 55% nei Paesi emergenti. Sono questi i Paesi che hanno risentito maggiormente degli effetti della crisi sanitaria ed economica in termini di qualità della vita. Numero e durata dei movimenti sociali, insieme alla loro intensità, saranno fattori di fondamentale importanza per definire lo sviluppo del commercio internazionale, proprio perché ne deriverebbe un approccio di maggiore avversione al rischio da parte delle imprese. La comunità internazionale dovrà, quindi, tenere monitorato lo sviluppo di potenziali conflitti nelle aree più colpite, nonché sulle carenze macroeconomiche che possono scatenarli, per evitare di farsi trovare impreparata dal conseguente calo delle attività industriali in entrata e in uscita di un determinato Paese", ha commentato Ernesto De Martinis, CEO di Coface in Italia e Head of Strategy Regione Mediterraneo & Africa (nella foto).



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