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09/06/2021

digital

La digitalizzazione delle aziende italiane, soprattutto PMI, è ancora una strada in salita

De Danieli (Primaposizione.it): il digitale può essere un volano, ma vanno fatte attente valutazioni sul mercato e le opportunità

La digitalizzazione delle aziende italiane è un argomento sempre attuale. Ne abbiamo parlato con Giuliano De Danieli di PrimaPosizione.it per capire cosa sta succedendo, soprattutto quanto le PMI diventano digitali. (guarda la video intervista al Late Tech Show)

C'è stata una grande spinta verso la digitalizzazione delle imprese.

Le nostre imprese sono partite dalle posizione basse della classifica dei Paesi più "digitalizzati", stanno recuperando. Le PMI, che costituiscono il tessuto portante dell'economia italiana, sono estremamente indietro rispetto all'adozione di sistemi digitali e circa il 70% non ha ancora un sito internet, anche se la situazione sta migliorando.
Non sto parlando di eCommerce, ma proprio del sito che fa sapere al mondo che si esiste.
Secondo me, tanti imprenditori non hanno una mentalità aperta ma soprattutto non osservano quello sta succedendo, ma nel frattempo temono la concorrenza da parte di aziende di altri Paesi. C'è un po' di retaggio culturale, nel senso che siamo restii al cambiamento, ci fa paura l'ignoto e abbiamo paura di "perdere soldi", tanto che preferiamo magari tenerli sotto il materasso.

C'è una mancanza di conoscenze, ma anche una mancanza di fiducia nel mezzo.

La fiducia verso il digitale è effettivamente un problema visto che in passato spesso hanno investito senza vedere ritorni.

Tanti imprenditori hanno provato in passato, aperto il sito e hanno iniziato a fare pubblicità, ma senza una strategia e senza ritorni certi la cosa è stata lasciata cadere. Bisogna pensare poi che molti investono su Google o Facebook senza avere un'idea precisa. Per esempio, su Google troviamo la domanda consapevole, su Facebook troviamo la domanda latente, quella domanda che intercetti ma non ti sta cercando che bisogna andare a suscitare un bisogno. Sembra banale, ma le aziende se non sono preparate non colgono questa differenza. Su Google si ha la possibilità di intercettare chi effettivamente ha un bisogno ed è alla ricerca di una soluzione a un problema. Se non si comprende questa differenza, difficilmente si ottiene un ritorno degli investimenti soddisfacente. In 21 anni ho lanciato più di 500 progetti online e il nostro approccio estremamente scientifico.

Ce lo può spiegare?

Il cliente deve essere disponibile a cambiare il modello di business prima di andare online, si modifica magari la proposta di valore che andiamo a proporre al mercato.

Diciamo chiaramente che l'online non fa miracoli, amplifica quello che si è realmente, quindi se c'è una proposta di valore interessante il mercato target probabilmente anche online lo accoglierà bene. Bisogna valutare la concorrenza, come è posizionata e dove sta spendendo perché la strategia dipende da tanti fattori per ottenere dei risultati. Il nostro approccio parte dall'analisi di mercato perché anche se l'azienda vuole avere una presenza digitale non basta la volontà. Molto spesso, l'analisi mostra nicchie che l'azienda non vedeva. Da questa fotografia della situazione e poi indichiamo al cliente i passaggi da compiere.

Una tecnica che garantisce risultati?

Solitamente sì, ma sappiamo che su 100 clienti ne abbiamo 3 o 5 che non ottengono i risultati sperati. Questo accade quando il business model non è stato modificato a sufficienza. L'istinto dell'imprenditore spesso porta le aziende fuori strada proprio perché manca un po' di competenza. Per avere successo, comunque, è necessaria una cosa: un mercato potenziale. Capita che qualche imprenditori si intestardisca su un mercato che non c'è.


Il prodotto, sebbene eccezionale, non è sufficiente. Bisogna capire il prodotto o il servizio e come si "incastra" nelle abitudini delle persone. Poi bisogna fare in modo che facciano "click" su un certo messaggio e infine riuscire a convincere ad acquistarlo. Tante startup chiudono perché manca un'analisi del mercato o perché non hanno compreso come attivare una nuova abitudine delle persone.

Avete realizzato un libro che racconta i migliori esempi.

Sì, abbiamo raccolto 60 settori merceologici diversi e 90 casi studio di imprenditori ai quali noi abbiano sviluppato la parte online. Mi piace segnalare un cliente di Forlì che è stato proprio un caso incredibile. Ha investito 80 mila euro con noi in questi 14 mesi e ha ha ricevuto in cambio un milione e 200 euro di new business legato al mondo delle pergole del giardinaggio. Partito a maggio dell'anno scorso con il trend crescente del Covid-19 e ha iniziato a fare pubblicità "a martello". Noi abbiamo costruito un'offerta di valore interessante per quel target e arrivano 2-300 contatti al mese.

Cosa significa rendere digitale un business?

Adattarlo alle esigenze di una strategia digitale.


Quello che spesso spaventa è la gestione dei contatti con i clienti, nonché la gestione delle pagine sui social. Significa cambiare molte abitudini all'interno delle imprese e adattare la supply chain. Lato comunicazione, è necessario avere una presenza internazionale, con traduzioni in più lingue e a lavorare su Google su più mercati. Poi bisogna valutare le performance, con indicatori come il costo a contatto. Se si spendono 2000 euro al mese generando 100 contatti da Google o Facebook, significa che un contatto costa 20 euro. Se da quei 100 contatti si ottengono 20 acquisti, il 20%, significa che ogni cliente costa all'azienda 100 euro! A questo punto il guadagno si ottiene solo se il margine è molto superiore a quei 100 euro. Per esempio, 3.000 euro di prodotti o servizi con un margine di mille euro vuol dire che io ho un ROI, un ritorno dell'investimento, del mille per cento quindi è questa "la magia del digitale". In questo caso, si ha davvero un volano per l'impresa.


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