La sostenibilità e i bitcoin

Il calcolo e il mining delle monete virtuali è un problema ecologico

Da quando Elon Musk, patron tra le tante cose di Tesla, ha dichiarato di non accettare più i Bitcoin per i pagamenti si è accesa un'intensa discussione sulla sostenibilità digitale delle monete virtuali, ma che probabilmente riguarda la sostenibilità del digitale a 360 gradi.
Non entro nel merito della discussione, cose che per altro ho fatto a più riprese in interventi e persino nei due libri della serie Digilosofia, mi interessa semplicemente mettere dei puntini sulle "i" intorno al tema della sostenibilità.
Quando si parla di sostenibilità ambientale si parla, sostanzialmente, di quanta CO2 viene immessa nell'ambiente, ma ovviamente non è un conto esatto.
Il biossido di carbonio viene certamente generato dai computer che svolgono le operazioni matematiche molto complesse che riguardano i bitcoin. Il "mining", ossia che far nascere la nuova moneta da mettere in circolazione, quello che tradizionalmente sarebbe chiamato conio, costa molto in termini di energia, che si traduce in gas serra.
Andrebbe però pesato l'impatto delle operazioni in denaro che potremmo definire come tradizionali, che riguardano una serie di processi non così precisamente decodificati ma che hanno un'impronta precisa.

In fondo, la sola smaterializzazione delle operazioni svolte mediante la blockchain evita molti sprechi e questo andrebbe valutato con maggiore attenzione.
Non dobbiamo dimenticare che i processi di stampa di carte di credito, piuttosto che la carta, l'inchiostro e l'energia necessaria alle macchine per stampare le banconote, i costi di trasporto e di trasferimento nonché tutta la documentazione degli istituti di credito hanno un discreto impatto.
Molti dei data center moderni hanno impatto zero, usano energia rinnovabile e sistemi di riciclo straordinari, quindi l'impatto delle monete virtuali si abbassa moltissimo.
Ha un costo, questo è chiaro, ma andrebbero valutate tutte le variabili per fare delle conclusioni definitive.
L'impronta c'è, ma di tanti processi non esiste nemmeno un minimo di monitoraggio delle procedure.